Architetti della materia. La chimica fantascientifica delle supermolecole

Dalla medicina all'ambiente: possono rilasciare farmaci e distruggere le cellule malate o catturare il Co2 nell'aria lasciando passare ossigeno

Architetti della materia. La chimica fantascientifica delle supermolecole

Un passo indietro. L'ultima occasione in cui uno scienziato italiano è stato a un passo dal vincere il Nobel per la chimica risale al 2016, quando il premio venne assegnato a Jean-Pierre Sauvage, Fraser Stoddart e Ben Feringa per le loro «macchine molecolari». L'italiano in questione era Vincenzo Balzani, oggi professore emerito al Dipartimento di Chimica «G. Ciamician» dell'Università di Bologna. Balzani era stato co-autore di numerosi articoli fondamentali di Sauvage e Stoddart, in cui aveva curato la parte di caratterizzazione e interpretazione delle proprietà delle complesse molecole sintetizzate dai due colleghi. A lui il Nobel committee aveva preferito Feringa, scienziato olandese, straordinario sintetizzatore di sistemi eleganti e fantasiosi, che poco però aggiungevano alle novità portate da Stoddart e Sauvage con il chimico bolognese. Era stata una scelta che aveva fatto molto discutere, che era apparsa ai più ingiusta, e che era andata di traverso in particolare alla comunità della chimica italiana.

Le macchine molecolari, premiate con quel Nobel del 2016, sono una nicchia della chimica supramolecolare, il tipo di chimica più bella, esotica e creativa che si possa immaginare. Abbiamo finalmente metabolizzato, noi chimici italiani, quello sgarbo del 2016? Il punto lo ha fatto il XVI Congresso Nazionale di Chimica Supramolecolare, che si è tenuto all'Università di Pavia dal 10 al 13 settembre, e la risposta è un bel sì. D'altronde c'è poco da digerire o metabolizzare. La chimica, come tutte le scienze hard, è un flusso che avanza indipendentemente dagli episodi, una macchina inarrestabile fatta dall'insieme degli scienziati, dove tutti costruiscono un mattone alla volta l'edificio della conoscenza, e le delusioni di uno non intaccano il lavoro dell'altro. E se guardiamo alla ricerca italiana, la chimica supramolecolare ha un motore potente e in salute. Quando si parla di «supramolecolare», si intende la chimica delle molecole che interagiscono tra loro a creare «supermolecole», grandi aggregati capaci di svolgere funzioni nuove e diverse. Le micelle contenute nei saponi, le membrane cellulari, la miosina responsabile delle contrazioni muscolari sono alcuni tra le centinaia di esempi di supermolecole di cui è ricca la natura, e da cui la chimica supramolecolare trae ispirazione per crearne di nuove, tanto straordinariamente complesse nella sintesi quanto eleganti nell'ideazione e nei concetti scientifici che le sottendono. Supermolecole capaci di funzionare da elevatori, shuttle, rotori, o in grado di annodarsi e intrecciarsi spontaneamente come i cinque cerchi olimpici o la doppia elica del dna, sono alcuni dei risultati spettacolari ottenuti della chimica supramolecolare a partire dagli anni della sua nascita, i settanta del secolo scorso. Ma a cosa servivano queste strane supermolecole? A niente, o almeno così le bollavano ironicamente gli organici, gli inorganici, gli industriali, cioè gli scienziati delle aree più tradizionali e produttive della chimica. Quel che si è visto al XVI Congresso Nazionale di Pavia conferma lo spostamento di paradigma dell'ultimo decennio: eleganza e creatività sono ancora in parte lì, ma i sistemi presentati dai supramolecolari italiani puntano ora decisamente verso le applicazioni. Per esempio nella catalisi, e cioè nel rendere veloci reazioni altrimenti lente, senza spendere energia in quello che è l'accelleratore naturale di qualsiasi reazione, l'aumento di temperatura. Come nel caso portato dal Dipartimento di Chimica e Biologia dell'Università di Salerno, che ha mostrato come questo si possa fare prendendo dei resorcinareni, molecole organiche concave relativamente piccole, e facendole assemblare grazie a ponti di molecole d'acqua. Si forma una supermolecola sferica, all'interno della quale i reagenti si trasformano facilmente nei prodotti, sollecitati dalle interazioni con le pareti del contenitore. Altre applicazioni molto rappresentate sono state quelle in ambito medico, come la ricerca presentata dal Dipartimento di Scienze del Farmaco e della Salute dell'Università di Catania: auto-assemblaggi di polimeri anfifilici che funzionano da vettori per una collezione di specie molecolari. Irraggiati dalla luce rilasciano farmaci, trasformano l'ossigeno in specie reattive, e generano calore, garantendo un attacco simultaneo su più fronti capace di distruggere le cellule dei tessuti tumorali. Numerosi sono stati anche i contributi pensati per rimediare ai danni causati dall'uomo, come l'abbattimento dell'anidride carbonica dall'aria o la rimozione degli inquinanti dalle acque. Una ricerca del Dipartimento di Chimica dell'Università di Pavia ha dimostrato come molecole-gabbia di sintesi formino membrane in grado di catturare selettivamente CO2 dall'aria, lasciando invece passare l'ossigeno, e un lavoro del Dipartimento di Chimica dell'Università di Parma ha mostrato come molecole cicliche, chiamate cavitandi, con un interno idrofobico e un esterno idrofilico, catturino efficacemente dalle acque inquinanti fortemente cancerogeni come gli idrocarburi aromatici policiclici.

Si può discutere se lo scivolamento dalla pura bellezza all'utilità pratica della chimica supramolecolare sia stato spontaneo, e la risposta è verosimilmente no. Da decenni la ricerca accademica è solo competitiva, e cioè si svolge grazie a finanziamenti esterni che arrivano attraverso bandi pubblici. I progetti presentati ai bandi dei diversi enti finanziatori (dal MUR alla Comunità Europea, dalle regioni alle fondazioni bancarie) si devono adattare alle loro linee guida, ed è diventato chiaro che non ha speranze la proposta di un progetto senza immediate ricadute applicative, per quanto elegante, fantasiosa o persino geniale possa essere la sua chimica. Molti scienziati pensano che sia un autogol, ed è difficile non essere d'accordo, perché è sulle grandi scoperte «inutili» del passato che si sono costruite le tecnologie di successo di oggi. Ma sono gli enti finanziatori a dettare legge. È consolante allora che ci siano ancora ricerche tanto eleganti quanto potenzialmente utili, come quella che ha chiuso il congresso di Pavia, presentata dal Dipartimento di Scienze Chimiche e Farmaceutiche dell'Università di Trieste: cianobatteri di sintesi. Si tratta di supermolecole sferiche fatte da numerose e diverse molecole più piccole, che in realtà non sono «vive» (non possono riprodursi).

Possono però fare due cose spettacolari, entrambe grazie a un semplice irraggiamento luminoso: muoversi autonomamente, come i batteri veri, e soprattutto «spezzare» l'acqua in ossigeno e idrogeno. E quest'ultimo è uno di maggiori candidati per la produzione dell'energia pulita del futuro.

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