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Arriva l'ora della verità per i terroristi fuggiti: "Ora tornino in Italia"

La Francia domani decide sull'estradizione. E i familiari delle vittime chiedono giustizia

Arriva l'ora della verità per i terroristi fuggiti: "Ora tornino in Italia"

Presentata all'epoca del governo Draghi come la svolta che doveva finalmente riportare in Italia dieci terroristi rifugiati da decenni all'ombra della «dottrina Mitterand», la cosiddetta operazione Ombre Rosse rischia di sgonfiarsi definitivamente domani davanti alla Cassazione francese. L'ultimo tentativo di ottenere l'estradizione in Italia di dieci latitanti, in buona parte personalmente responsabili di fatti di sangue, è affidato al ricorso presentato dalla Procura di Parigi dopo che la Corte d'appello della capitale aveva deciso di salvare i dieci dalla consegna al loro Paese. Che gli spazi per un ribaltamento della decisione siano risicati lo dimostra anche l'atteggiamento della procura generale della Cassazione che ha già chiesto di bocciare il ricorso. Gli argomenti sono sempre quelli: è passato troppo tempo, i dieci si sono rifatti una vita, eccetera. Ma dietro c'è la solita, inguaribile indulgenza con cui in Francia si guarda ai cosiddetti «rifugiati», vezzeggiati e coccolati come se invece che di assassini fanatici si trattasse di idealisti e intellettuali.

Di questa generosa disposizione d'animo la magistratura francese ha dato prova anche di recente, con la decisione dell'altro giorno di non consegnare all'Italia il black block milanese Vincenzo Vecchi, condannato a dieci anni di carcere per le violenze durante il G8 di Genova. Per i dieci di «Ombre Rosse», catturati con una spettacolare retata nell'aprile di due anni fa, tira la stessa aria, benchè a loro carico ci siano imprese ben più cruente della devastazione imputata a Vecchi. Tra di loro ci sono personaggi come Giorgio Pietrostefani, il mandante nel 1972 dell'assassinio del commissario Luigi Calabresi, o i br Marina Petrella e Sergio Tornaghi, entrambi destinati all'ergastolo per omicidio. Del gruppo dei dieci fa parte anche Luigi Bergamin, che era insieme a Cesare Battisti nei Proletari armati per il Comunismo, e che insieme a lui si rese colpevole di due delitti insensati e a sangue freddo. Anche Battisti, va ricordato, svernò a lungo in Francia, e se non si fosse spostato in Brasile forse non sarebbe mai finito a scontare la sua condanna in Italia.

Pietrostefani, la Petrella e gli altri invece non si sono mai mossi dalla Francia, e a quanto pare hanno fatto bene. Di qua e di là dalle Alpi continuano spesso a essere raccontati come vittime più colpevoli. Da segnalare quanto, a ridosso della decisione della Cour de Cassation, dichiara ieri all'Adnkronos l'ex brigatista Paolo Persichetti, che era anche lui scappato in Francia e fu tra i pochi a venirne estradato: «l'esilio non è una passeggiata, è una vita precaria, con mille problematiche», dice Persichetti. Che poi definisce chi oggi in Italia si ostina a pretendere la consegna degli ex terroristi «degli ossessionati che continuano a pensare che gli anni Settanta siano il problema dell'Italia, sono persone che hanno gravi disturbi della personalità».

Di fatto, tra le poche voci in Francia favorevoli alla consegna dei dieci all'Italia ci sono i politici di governo, con il ministro della Giustizia Eric Dupond-Moretti che paragona gli «esuli» italiani ai terroristi islamici, «avremmo noi accettato che uno degli autori del Bataclan andasse a vivere 40 anni in Italia? Questi hanno le mani sporche di sangue. Non ho remore». Ma, come spesso anche in Italia, potere politico e potere giudiziario parlano lingue diverse. Così il peggio che i dieci latitanti possono temere è probabilmente un nuovo rinvio, con la Cassazione che rimanda le carte ai giudici d'appello per una nuova decisione.

Intanto il tempo passa, e per i familiari delle vittime del terrorismo diventa sempre più evanescente la speranza di avere giustizia.

«Francamente non ci credo più, dopo 40 anni - dice Lorenzo Conti, figlio di Lando Conti che era il sindaco di Firenze e venne ucciso nel 1986 - ma me lo auguro di cuore, non sono certo uno che ha pietà per questi terroristi, come quello che oggi piange e fa lo sciopero della fame per non scontare la pena. Ci dovevano pensare prima perché a mio padre non è stato dato il tempo di pensare, di scegliere».

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