
Ventisei dei 28 attivisti del centro sociale Askatasuna erano in aula ieri al Palagiustizia di Torino per la sentenza del processo che li vede imputati per i disordini durante le manifestazioni contro il cantiere Tav sia in Val di Susa che a Torino tra il 2016 e il 2021. Il pm aveva chiesto un totale di 88 anni di carcere per reati che andavano dalla rapina all'estorsione e alla violenza a pubblico ufficiale. E soprattutto - per 16 di loro - pesava anche l'accusa di associazione a delinquere. Le richieste di condanne sono per un totale di 88 anni di carcere. Inoltre, la presidenza del Consiglio e i ministeri di Interno e Difesa, costituitisi parte civile nel maxi processo, hanno quantificato una richiesta di circa sette milioni di euro per i danni subiti e le spese sostenute da amministrazioni pubbliche e forze dell'ordine durante le manifestazioni. Nella requisitoria dello scorso dicembre la procura aveva, infatti, sottolineato che all'interno del centro sociale nel corso degli anni si è creata una «associazione per delinquere» finalizzata a scontri di piazza e ad attacchi ai cantieri della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione. Alla fine l'accusa di associazione a delinquere è caduta. E le pene inflitte dai giudici variano dai 4 anni e 9 mesi ai 5 mesi di reclusione per singoli episodi. I numerosi compagni e simpatizzanti dei 26 imputati presenti in aula hanno accolto l'assoluzione dall'accusa di associazione per delinquere con un applauso, interrompendo la lettura del dispositivo.
«Il teorema è crollato ed era un teorema che non stava in piedi - commenta Andrea Bonadonna, uno degli imputati -, perché chi lotta ogni giorno per il bene di altre persone, non può essere equiparato a un delinquente». Di segno opposto il commento di Paolo Zangrillo, ministro per la Pubblica amministrazione e segretario regionale di Forza Italia. «Massimo rispetto per il lavoro della magistratura - dice -, ma il mio parere non cambia: non si può tollerare chi non rispetta le leggi e attacca in maniera impunita le Forze dell'Ordine. È a loro che va spiegata la sentenza».
«Chi usa la violenza come strumento di lotta, ideologica - gli fa eco Augusta Montaruli (FdI) - mai essere un interlocutore dello Stato e pertanto delle amministrazioni degli enti locali .Le 18 condanne lo confermano. Anche se cade l'associazione a delinquere: non cambia la sostanza». Una nota arriva anche dal sindacato di polizia Siulp: «Rispettiamo la sentenza ma è complicato comprenderla».
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