Da quando i ribelli siriani hanno lanciato l'offensiva a sorpresa contro Assad mercoledì scorso, almeno 412 persone sarebbero state uccise (48 i civili). La tv di stato di Damasco risponde spiegando che le forze governative hanno trucidato oltre mille insorti, senza fornire prove o dettagli. Siamo già alla guerra di numeri, tutti da verificare, prima ancora di quella che si sta consumando sul campo, scoppiata per varie motivazioni che partono dalla Siria e raggiungono persino Kiev e Washington.
Da una parte i regolari di Assad, sostenuti da Russia e Iran, dall'altra i ribelli del gruppo jihadista Hts, Hayat Tahrir al Sham (commissione per la liberazione della Siria) che possono contare sull'appoggio della Turchia, anche se il capo della diplomazia Hakan Fidan, in una telefonata con il segretario di Stato Usa Blinken, sostiene gli sforzi per «ridurre la tensione». Le voci di un possibile golpe si rincorrono, visto che Hts e i suoi accoliti controllano le regioni di Aleppo ed Idlib, e hanno messo le mani sull'aeroporto internazionale Al-Duwaliyy, primo hub civile a cadere sotto il loro controllo. Gli insorti, che hanno ribattezzato l'operazione «Deterrenza dell'Aggressione», si stanno dirigendo a Sud verso Hama dopo aver occupato numerose città e villaggi nella parte settentrionale, e costringono le truppe governative a una ritirata precipitosa, mandando in frantumi anni di conquiste militari ottenute grazie al sostegno di Russia, Iran e da gruppi legati a Hezbollah, indeboliti da Israele. Il caos è totale e il comandante in capo dell'esercito, Abdul Karim, potrebbe essere destituito per non aver previsto le mosse nemiche. Assad, rientrato da Mosca, ha promesso che userà ogni strumento per eliminare il terrorismo: «Capiscono solo il linguaggio della forza, e la useremo per schiacciarli ed eliminarli, con chiunque li appoggi e li sponsorizzi», ma sarebbe disposto a trattare con Erdogan.
Per l'alleato iraniano i sostenitori di Hts hanno nome e cognome, almeno così rivela il ministro degli Esteri Abbas Araghchi in visita ieri a Damasco: «È ovvio che gli Stati Uniti e il regime israeliano sono in combutta con i gruppi terroristici in Siria. Cercano di creare insicurezza nella regione». Da Teheran il presidente Pezeshkian rincara la dose: «Gli stati islamici dovrebbero intervenire per prevenire il protrarsi della crisi e impedire agli americani e a Israele di sfruttare i conflitti interni di altri Paesi». Gli Usa rispondono a stretto giro sostenendo che a causare il tentato golpe è la dipendenza di Assad da Russia e Iran, «unita al rifiuto di accogliere il processo di pace delineato dall'Onu», ha affermato il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Sean Savett. Dello stesso tenore le frasi del governo britannico, mentre l'Irak chiede che venga scongiurata una destabilizzazione. Dalla base di reclutamento israeliana di Tel Hashomer, Netanyahu e il ministro della Difesa Katz assicurano di essere, «determinati a difendere gli interessi vitali del nostro Paese e a preservare i successi della guerra».
Sul campo, con le notizie frammentarie che arrivano dai media siriani che funzionano a intermittenza (è persino circolata la voce della presa del palazzo presidenziale di Damasco da parte dei ribelli), un attacco aereo russo a Idlib avrebbe ucciso Abu Muhammad al Jolani, capo di Hts, ma mancano dati ufficiali. I caccia di Mosca hanno bombardato le zone rurali di Idlib e Hama, poco lontano a Sud di Aleppo, dove il gruppo che guida l'offensiva ribelle ha recentemente preso il controllo. Nel frattempo, il ministro della Difesa siriano, il generale Ali Mahmoud Abbas, ha ordinato l'invio di almeno 2mila soldati per tracciare una linea di difesa attorno ai villaggi nella campagna di Hama.
Ad Aleppo è stato danneggiato il convento francescano, ma non ci sono vittime. I ribelli hanno inoltre circondato la località di Saraqeb, snodo strategico che collega le autostrade Damasco-Aleppo (M5) e Aleppo-Latakia (M4).
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