Dopo tre anni è stato assolto perché «il fatto non sussiste», ma l'imputazione gli è costata la poltrona di presidente della Camera, per cui era il favorito all'indomani delle Politiche, nelle ore della formazione del nuovo governo. Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, era accusato di falso elettorale, cioè di aver modificato illecitamente la lista elettorale del partito per l'elezione del sindaco di Moncalieri nel 2020. Il pm aveva chiesto per lui, segretario della Lega in Piemonte, 8 mesi di reclusione, ma ieri il giudice del Tribunale di Torino, Paolo Gallo, di fatto ha stabilito che «il reato non esiste», come spiega il difensore del deputato, Luca Gastini. Assolti anche gli altri due imputati, Alessandro Benvenuto, parlamentare leghista e segretario provinciale del Carroccio, e Fabrizio Bruno, all'epoca delegato della Lega al deposito delle liste.
«Un abbraccio all'amico Riccardo Molinari, assolto dall'accusa di falso elettorale perché il fatto non sussiste. Anni di fango e di veleni spazzati via senza se e senza ma, alla faccia di chi - anche nelle scorse ore - evidenziava le richieste dell'accusa sperando in una condanna», commenta Matteo Salvini. Che un anno fa aveva dovuto rinunciare alla candidatura del suo fedelissimo allo scranno di terza carica dello Stato, posizione poi occupata da Lorenzo Fontana. Candidare Molinari alla presidenza di Montecitorio con un processo in corso lo avrebbe esposto agli attacchi dell'opposizione e avrebbe reso politicamente più fragile una poltrona cardine per la maggioranza. Del resto i titoli dei giornali già picchiavano sulla presunta macchia giudiziaria: «Il leghista Riccardo Molinari va a processo mentre è in corsa per la presidenza della Camera».
L'indagine nasce su esposto dei Radicali, dopo che dall'elenco dei candidati viene depennato con un tratto di penna il nome di un ex di Forza Italia appena approdato nella Lega, Stefano Zacà. Quel tratto di penna costerà a Molinari il processo, perché fatto dopo il deposito delle firme degli elettori. Per l'accusa si sarebbe dovuta ripetere la raccolta firme. Secondo il pm quel nome era un problema perché aveva lasciato gli azzurri «sbattendo la porta» e permettergli di partecipare «sarebbe stato uno sgarbo» nei confronti di Paolo Zangrillo, oggi ministro e allora coordinatore regionale di Fi. Molinari e il Carroccio si erano sempre difesi sostenendo che si trattava di una decisione politica legittima, che il partito poteva assumere in autonomia. «La barratura sul nome - ha spiegato poi il legale di Molinari in aula - non contava nulla. Era soltanto la modalità operativa con cui si era resa più chiara la situazione: quel candidato non c'era. E del candidato mancava l'accettazione e il curriculum, erano i due documenti indispensabili. Senza la barratura non sarebbe cambiato. Il falso quindi è totalmente irrilevante».
Molinari non commenta, ma di fronte all'assoluzione arriva il sostegno di tutto il Carroccio: «Dopo anni di sofferenze, di accuse rivelatesi ingiuste e fango gratuitamente gettato su un grande professionista, ora finalmente è emersa la verità - dice il senatore Alessandro Morelli - Meriterebbe le scuse da tutti coloro che lo hanno attaccato in maniera scomposta e violenta». Per il presidente del Consiglio regionale del Piemonte Stefano Allasia, della Lega, «molto nella nostra giustizia non funziona come dovrebbe.
Hanno dovuto subire una gogna, che ha provato a minare la loro credibilità, in un processo che non aveva alcuna ragione di essere». Ieri invece i Radicali che hanno presentato l'esposto da cui è nata l'inchiesta si sono detti «perplessi» sulla sentenza. Sperano «che il Pm ricorra in appello, perché riteniamo che oggi giustizia non sia stata fatta».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.