Attacco alla roccaforte talebana Kandahar. Kamikaze nella moschea sciita: 50 morti

Dopo Kabul e Kunduz un altro attentato con l'ombra dell'Isis-K. La cellula sunnita alza il tiro contro il nuovo Emirato islamico

Attacco alla roccaforte talebana Kandahar. Kamikaze nella moschea sciita: 50 morti

Non è solo l'ennesima spietata carneficina, ma anche uno schiaffo al nuovo ordine talebano. Un ordine che si vantava di aver riportato pace e sicurezza in Afghanistan, ma si ritrova a far i conti con la terza strage consecutiva in tre settimane. Una strage che, come a Kabul prima e a Kunduz sette giorni fa, viene messa a segno in una moschea sciita durante la preghiera del venerdì.

Ma stavolta il colpo è ancor più grave. Il nuovo massacro colpisce Kandahar, città culla del potere talebano dove il mullah Omar aveva insediato il primo emirato e il regime si considerava, fino a ieri, intoccabile. Ora invece l'Isis Khorasan, il gruppo terroristico responsabile dei precedenti attentati e probabile mandante di quest'ultimo, si dimostra in grado di violare anche quel «sancta sanctorum».

Come già la settimana scorsa nella moschea sciita di Kunduz anche stavolta l'attentato puntava a causare il più alto numero di vittime. Per capirlo basta la dinamica dell'assalto. Secondo i fedeli scampati all'esplosione almeno due attentatori suicidi si sono fatti saltare all'interno dell'edificio durante la preghiera. Un terzo, appostato all'ingresso, ha innescato il detonatore non appena la folla in fuga gli è passata accanto. «Prima ho sentito il rumore di alcuni colpi di arma da fuoco e poi una serie di esplosioni. Alla fine c'erano sangue e cadaveri a pezzi ovunque», ha raccontato Abdul Jabar Karimi, un fedele 40enne scampato per miracolo alla morte.

Ieri, molte ore dopo il gravissimo attentato, le autorità talebane non riuscivano ancora a fornire un bilancio esatto. Le stime provvisorie parlavano di almeno 50 morti, ma le modalità della strage fanno pensare a numeri molto più alti. «Non siamo in grado di fornire cifre definitive perché molti corpi sono rimasti sepolti sotto le macerie della moschea», spiegava ieri Hafiz Abdul Haj Abbas responsabile della Sanità per la provincia di Kandahar.

A questo s'aggiungono le conseguenze per la stabilità del paese. I talebani, pur avendo perseguitato e colpito la minoranza sciita degli Hazara sia durante il primo emirato, sia durante i venti anni d'insurrezione armata, si erano impegnati, dopo la presa del potere, a proteggere tutte le minoranze. Quell'impegno era anche la condizione indispensabile per garantirsi la collaborazione di un regime iraniano che ai tempi del primo emirato era stato a un passo dall'invadere il paese per proteggere gli Hazara. Ora, invece, la comprovata incapacità dei talebani di garantire la sicurezza potrebbe spingere gli sciiti a rimettere in gioco le milizie di auto-difesa e a chieder l'aiuto di Teheran. Anche perché tra le minoranze permane il sospetto che i legami tribali e di sangue frenino la tanto promessa lotta all'Isis. I comandanti e gli uomini dello Stato Islamico sono pur sempre ex- militanti talebani fuoriusciti dall'organizzazione in seguito a rivalità personali o per protesta contro la trattativa sul ritiro con il nemico americano. E durante l'avanzata su Kabul, gli stessi talebani hanno liberato migliaia di militanti dell'Isis detenuti nelle carceri di Bagram e Pul-I-Charki.

Proprio quelle liberazioni hanno rimesso in gioco una formazione che sembrava relegata in paio di province mentre ora è tornata a colpire ai quattro angoli del paese compromettendo la stabilità e la credibilità del nuovo emirato.

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