Attentato a Gerusalemme: lite Hamas-Isis sulla paternità

Quattro feriti e un'agente uccisa. E le due organizzazioni in difficoltà si scontrano per attribuirsi la rivendicazione

Attentato a Gerusalemme: lite Hamas-Isis sulla paternità

Gerusalemme - Era una ragazza di 23 anni che subito prima di essere uccisa mentre cercava di fermare tre terroristi ha scritto un messaggio di amore e pace a famiglia e amici. È morta pugnalata. E sulla sua uccisione, assistiamo a un bello scontro di giganti: Isis che rivendica l'attentato per rincuorarsi dalle sconfitte; Hamas che come un bambino cui abbiano sottratto il giocattolo preferito urla: «Macché Isis, sono stato io». E la palma va al grande punto di riferimento di tutti i pacifisti, Abu Mazen, che condanna Israele e si intenerisce per i suoi che sparavano col mitra all'impazzata e pugnalavano a morte, tre terroristi che sono stati fermati perché smettessero di uccidere, e annuncia che denuncerà lo Stato ebraico per crimini di guerra. Nessun comunicato del genere è stato mai scritto contro le forze di polizia inglesi o tedesche o francesi per aver ucciso terroristi.

L'attentato, venerdì nella Città Vecchia, dove i terroristi hanno sparato col mitra ferendo 4 persone e poi hanno ucciso a pugnalate l'agente della polizia di frontiera, Hadas Malka, che alla porta di Damasco si è eroicamente gettata nella lotta fra la gente. I tre terroristi sono Adel Ankush, 18 anni, Bra'a Salah e Asama Ahmed Atta, 19. Nati nel villaggio di Deir Abu Mashal, vicino a Ramallah, erano stati già arrestati perché «coinvolti in attività terroriste» ha fatto sapere lo Shin beth. Le loro case sono state circondate, frugate, i familiari interrogati. Dal settembre 2015 il terrore ha fatto 43 morti israeliani, due americani, un inglese.

Che dire della rivendicazione dell'Isis? Hamas insiste nel dire che è una balla, che l'onore è tutto suo; secondo il partito islamista per eccellenza invece «grazie a dio abbiamo completato un attacco nel cuore di Gerusalemme». I «leoni», dice l'Isis, sono riusciti a «vendicarsi» degli ebrei, e «con l'aiuto di dio non sarà l'ultimo attacco». È una rivendicazione non priva di sfondo strategico: l'Isis oltre a sparare dentro i confini di Israele dalla Siria, nel 2016 è riuscita a organizzare due attacchi. Uno a Tel Aviv che ha ucciso tre persone e uno a Gerusalemme con un camion che ha travolto un gruppo di soldati in gita, schiacciandone a morte quattro.

Ma Hamas è più credibile e più forte, gode nell'Autorità Palestinese di un vasto consenso che Abu Mazen teme. Ha specificato che due degli attaccanti erano del Flp e uno di Hamas. Qualsiasi cosa fossero, sono riusciti a entrare nel cuore di Gerusalemme approfittando dei permessi speciali che, per la libertà religiosa, sono stati concessi ai palestinesi dal governo israeliano per il Ramadan. Ora i permessi sono stati revocati.

Le rivendicazioni parallele indicano difficoltà politiche, legate alla guerra per l'Isis, alla crisi del Qatar per Hamas che si ritrova a corto di sostegno. Ma la barca è la stessa: quella dell'integralismo islamico. L'occupazione c'entra poco: è una guerra contro l'infedele, ebreo o cristiano, che in tutto il mondo utilizza gli stessi mezzi. Abu Mazen non è mai rimasto indietro, sulle tracce di Arafat che pretendendo di essere partner di pace di fatto ha promosso le più grandi ondate del terrorismo.

Abu Mazen da parte sua ha versato negli ultimi 4 anni 12 miliardi di dollari in stipendi per i prigionieri e le famiglie dei «martiri», ed è stata smentita la voce che stia considerando la richiesta di Trump di cessare da questo uso di fondi internazionali che dovrebbero servire a promuovere l'economia. Sarà meglio fare i conti con questa realtà: il terrorismo si può solo combattere, non esiste trattativa accettabile per chi uccide in nome di Dio.

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