La trincea trasformata in monumento con le granate di mortaio russe appese all'interno come trofei resisteva dall'inizio della guerra in Donbass nel 2014. Nel centro città il bunker principale era indicato da una grande freccia rossa e gli scantinati dei condomini dei tempi sovietici, bucherellati dall'artiglieria, erano stati trasformati in catacombe moderne dai civili. I razzi inesplosi rimanevano conficcati nell'asfalto ed i fantasmi affamati di Avdiivka rischiavano la vita in lunghe file per una confezione di pasta arrivata dall'Italia.
La roccaforte più avanzata degli ucraini nel Donbass dopo dieci anni è stata occupata dai russi. E sarebbero riusciti a spingersi anche più avanti, per 8 chilometri, verso i bordi della tenaglia che rischiava di chiudere le truppe di Kiev in una mortale sacca.
Di Avdiivka, 32mila anime prima dell'invasione, restano solo macerie e poche centinaia di civili che non hanno voluto farsi evacuare con gli autobus gialli. Chissà che fine ha fatto «Vincenzo», il nomignolo di uno dei fantasmi della città affibbiato quando faceva il muratore a Napoli. Uno dei civili, come altri rimasti nel Donbass, che aspettava gli invasori. Da quattro mesi le truppe dello Zar attaccavano ad ondate «avanzando sui loro morti e con un vantaggio nei colpi di artiglieria di 10 a 1» ha dichiarato il generale Oleksandr Tarnavskyi, comandante del fronte sud ucraino. Nel carnaio i russi avrebbero perso 47mila uomini per offrire a Vladimir Putin, una vittoria alla vigilia delle elezioni già scritte che lo confermeranno al Cremlino.
La brigata 110 si è sacrificata fino all'ultimo nella difesa della città, ma al crollo del forte Zenit, sul fianco sud, non c'è stato più nulla da fare se non evitare di finire stritolati nella sacca. Molti ucraini sono stati fatti prigionieri. Fra gli uomini che hanno dato il sangue per Avdiivka serpeggia la rabbia per un ordine che avrebbe dovuto arrivare due settimane prima rendendo la ritirata ordinata e con meno perdite. I racconti della ultime ore sono di un «si salvi chi può». I bombardamenti dal cielo e da terra erano incessanti. Sulla linea del forte Zenit chi ripiegava a piedi è stato in gran parte falciato dai bombardamenti. Un reparto della 3a brigata d'assalto inviata a proteggere la ritirata, completamente circondato, è riuscito con un attacco disperato a rompere la sacca. Un'altra unità in attesa di un blindato per l'evacuazione ha ricevuto l'ordine via radio «di abbandonare i feriti e andarsene. Non arriverà nessun mezzo a prendervi». L'operatore radio era uno dei feriti. Lo spettrale stabilimento dove si estrae gas dal carbon fossile, all'ingresso della città, è diventato una trappola infernale. I russi lanciavano bombe incendiarie per fare esplodere i serbatoi e bruciare vivi i soldati ucraini.
Avdiivka, a soli sei chilometri da Donetsk, era strategica perché gli ucraini riuscivano a colpire la «capitale» dei filorussi nel Donbass. La nuova linea di difesa rischia, per poter reggere, di doversi spostare fino a venti chilometri indietro. Per ora gli ucraini resistono a metà strada, ma i russi stanno attaccando da dicembre su sette direttrici.
A cominciare da Est sull'asse Kupyansk-Svatove-Kreminna. E sugli oltre 900 chilometri della linea del fronte gli ucraini, che devono razionare le munizioni, riescono a tirare 2mila cannonate al giorno rispetto alle 10mila dei russi.
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