Azzerati tutti gli accordi con il veto M5s su Romani

Forza Italia strappa al Pd un aiutino per la presidenza del Senato, ma l'intesa è fragile. Si inizia stamattina

Azzerati tutti gli accordi con il veto M5s su Romani

Letta-Lotti, Lotti-Letta. No, non è uno scioglilingua e nemmeno una canzoncina, ma è l'assonanza, non solo verbale, che ha ribaltato il tavolo delle trattative e che, notte di lunghi coltelli permettendo, potrebbe portare Paolo Romani alla presidenza del Senato. Mentre infatti Silvio Berlusconi fa muro sul suo candidato, infischiandosene del no di Di Maio al capogruppo uscente di Fi, il Pd si sta orientando verso una benevola e non troppo compromettente astensione. E siccome la Lega non può certo rompere l'alleanza di centrodestra sacrificando Romani in nome di un accordo con i grillini, ecco che l'aiutino tecnico del Nazareno può servire ad aggirare il veto di M5s.

Letta-Lotti dunque, perché sono loro, l'Eminenza azzurrina del Cav e il ministro dello Sport plenipotenziario di Renzi, a tenere i fili del negoziato. In cambio del suo contributo, il Pd dovrebbe ottenere ben due vicepresidenze a Palazzo Madama, una delle quali per Anna Rossomando, area di Orlando. Visto poi che i democratici si asterrebbero pure alla Camera, nel pacchetto completo è prevista la vicepresidenza di Montecitorio per Ettore Rosato, uomo di Matteo.

Certo, la notte è lunga, l'intesa non è blindata, tutto può succedere. Senza parlare del rischio costante dei franchi tiratori: i leghisti voteranno compatti per Romani o Berlusconi ad un certo punto dovrà cambiare cavallo? Salvini continua a dire che per lui è «tutto azzerato» e che serve un approfondimento che coinvolga pure il Pd. I Cinque Stelle si agitano perché temono brutte sorprese anche alla Camera, dove il loro candidato Roberto Fico perde colpi anche nella base dura pentastellata. Da qui l'idea di Di Maio di riaprire i giochi proponendo un nuovo giro di consultazioni per poi «convergere su figure di garanzia». Alle otto di sera il vertice dei capigruppo di tutti i partiti rappresentati in Parlamento parte però con il piede sbagliato e alla fine lascia sostanzialmente le cose come stanno, aperte.

Ci pensa Forza Italia a depotenziare subito l'incontro richiesto da M5s. «Noi siamo qui per discutere di vicepresidenze e di segretari d'aula - spiegano Romani e Brunetta - di presidenze ne parlano i leader. E il nostro è Berlusconi». Il problema è che Di Maio, pressato dalla base e forse anche da Beppe Grillo, non vuole sedersi allo stesso tavolo del Cavaliere. Fi reclama pari dignità: «Non può essere un ragazzino di trent'anni - dicono a Palazzo Grazioli - a metterci dei veti».

Il Pd è in ebollizione permanente, con la minoranza interna che avrebbe preferito flirtare con i grillini, per riuscire e mettere magari Dario Franceschini al posto della Boldrini, e che ora si sente emarginata ma non può dilaniare il partito, già ai minimi termini. Così anche i non renziani non si possono distaccare dalla linea ufficiale: si partecipa alle riunioni e ci astiene in aula.

In questo clima si comincia stamattina alle 10,30 al Senato. La seduta sarà presieduta da Giorgio Napolitano, che non mancherà di dire la sua: «Cercherò di dare ragione dei cambiamenti intervenuti con il voto e soprattutto di indicare le possibili prospettive ma direi più in generale la tenuta del Paese». Al primo e al secondo spoglio serve la maggioranza assoluta, cioè 161 voti, e saranno tutti corti.

Al terzo la soglia scende alla maggioranza dei presenti, considerando nel conto anche le schede bianche. Al quarto scrutino basterà prevalere al ballottaggio. Più complicato alla Camera, dove occorre sempre la maggioranza assoluta: ovvero, niente accordo, niente presidente.

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