Basta ipocrisie: abbiamo il dovere di aprire gli occhi

Basta ipocrisie: abbiamo il dovere di aprire gli occhi

Mi domando se Sana, negli estremi attimi della sua vita, abbia avuto contezza di ciò che le stava per accadere. Siamo portati a immaginare che l'assassino sia un compagno rifiutato o un malfattore sconosciuto, difficilmente associamo al profilo omicidiario un padre e un fratello che brandiscono un coltello per sgozzare, come fosse un agnellino, una ragazza, figlia del primo e sorella del secondo. Sana aveva 25 anni, e tutta la vita davanti. Di origini pakistane, si era trasferita giovanissima in Italia, era cresciuta a Brescia, qui aveva studiato e imparato la nostra lingua, i nostri costumi, da qualche tempo viveva a Milano dove aveva trovato impiego in un'autoscuola. Sana si era innamorata di un italiano, non musulmano, e intendeva sposarlo. Negli scorsi giorni era tornata a Gurjat, in Pakistan, per far visita alla famiglia e qui, secondo le cronache locali, il padre e il fratello, contrari a quelle scelte di vita insopportabilmente occidentali, l'hanno uccisa. Entrambi sono stati arrestati dalla polizia di Gujarat. Sana voleva essere libera, pretendeva il privilegio di unirsi all'uomo che amava, ma sposare un «infedele», nel codice islamico, è marchio di disonore per l'intera stirpe. Non è ammesso. La storia di questa ragazza, che su Instagram s'identificava con la doppia bandiera, italiana e pakistana, e festeggiava la sua prima volta in un bingo con il lauto premio di oltre duecentosessanta euro, richiama alla mente altri casi, altre storie. Pensate all'omicidio della pakistana Hina Saleem, attirata con un pretesto in casa del padre, nel Bresciano, e lì massacrata e sepolta dal genitore con l'aiuto dei parenti maschi nel 2006; oppure alla vicenda della marocchina Sanaa Dafani, accoltellata a morte, a diciotto anni, dal padre in un bosco, nel pordenonese, nel 2009. E che dire della cristiana Asia Bibi, lei è ancora viva, da nove anni sequestrata in un carcere pakistano con una condanna alla pena capitale per blasfemia. «Penso molto spesso a tua madre e prego per lei», ha confidato Papa Francesco alla figlia di Bibi in un incontro privato lo scorso febbraio. L'Islam ha un gigantesco problema con le donne, con il corpo femminile, con l'umana aspirazione alla libertà e all'autodeterminazione. «Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre...», recita il Corano alla Sura IV, versetto 34. Qualcuno sosterrà che si tratta di casi isolati, che l'islam è «religione di pace», così si usa dire per silenziare le voci di dissenso sotto l'insegna dell'imperversante islamofobia. E va bene, saremo pure islamofobi ma non siamo ciechi, né tantomeno ipocriti.

Le radici del terrorismo islamico e della segregazione femminile non saranno mai recise senza considerare la cornice religiosa che ispira quella forma d'integralismo. L'islam ha un gigantesco problema con le donne, e noi non abbiamo paura di affermarlo. Il volto di Sana, l'ultimo di una sterminata lista di vittime incolpevoli, impone il dovere della parola.

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