Il conflitto russo-ucraino può mettere a rischio la crescita economica. È quanto ha sottolineato il Centro studi di Confindustria (CsC) evidenziando che gli effetti della guerra «non trovano ancora pieno riscontro» nella dinamica al primo marzo della produzione industriale, «tuttavia, contribuiranno a generare ulteriori squilibri nell'attività industriale dei prossimi mesi peggiorando la scarsità di alcune materie prime, rendendo più duraturi gli aumenti dei loro prezzi, oltre ad accrescere l'incertezza, rischiando di compromettere così l'evoluzione del Pil nel 2022». L'associazione guidata dal presidente Carlo Bonomi stima una contrazione dell'attività industriale a febbraio (-0,3%), dopo la caduta di gennaio (-0,8%), inglobando solo in minima parte gli effetti dello scontro tra Russia e Ucraina che sta accrescendo le difficoltà di approvvigionamento delle imprese e spingendo ancora più in alto i prezzi di materie prime ed energia». Nel primo trimestre 2022 la variazione acquisita della produzione industriale, cioè ipotizzando crescita zero a marzo, sarebbe -1,0% (da +0,5% nel quarto trimestre 2021 e +1,0% nel terzo). L'impatto del caro-energia sull'attività economica italiana, conclude il CsC, aveva già causato un forte rallentamento produttivo dell'industria, dunque lo scenario è destinato a peggiorare.
Una valutazione condivisa dal Centro studi di Unimpresa, secondo cui se la guerra in Ucraina durasse a lungo, il Pil italiano potrebbe perdere 0,7 punti percentuali quest'anno, fermandosi al 3,4%, e 0,9 punti percentuali nel 2023, fermandosi all'1,9%, mentre l'inflazione salirebbe, rispettivamente, di 1,2 punti percentuali aggiuntivi nel 2022, fino al 6,2%, e di 3,5 punti percentuali in più l'anno prossimo, fino al 7 per cento. Se, invece, la conclusione fosse rapida, l'impatto sulla crescita economica del nostro Paese sarebbe di 0,5 punti percentuali quest'anno, fermando il Pil al 3,6% e nel 2023 l'effetto sarebbe nullo con il Pil al previsto 2,8%. L'inflazione salirebbe di un punto percentuale quest'anno, arrivando al 6%, e di 0,7 punti percentuali nel 2023, arrivando al 5,5%. «L'economia italiana crescerà comunque sia quest'anno sia l'anno prossimo, ma crescerà meno di quanto previsto dalla Commissione europea: in ogni caso c'è da essere preoccupati» commenta il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi.
Ecco perché l'Fmi ha invitato le autorità monetarie a «monitorare attentamente il passaggio dell'aumento dei prezzi internazionali all'inflazione interna, per calibrare le risposte appropriate». La politica fiscale, spiega il Fondo monetario internazionale, «dovrà sostenere le famiglie più vulnerabili, per contribuire a compensare l'aumento del costo della vita».
A questo proposito, occorre sottolineare come la Cgia di Mestre abbia ricordato come a trovarsi in affanno sia la categoria dei cosiddetti «padroncini», un esercito costituito da poco più di 717mila piccoli imprenditori, la gran parte artigiani, che a seguito dell'aumento del prezzo del diesel registrato in questo ultimo anno (+ 22% circa) si trova in grande affanno. Si tratta di idraulici, elettricisti, falegnami, taxisti/autonoleggiatori, trasportatori, bus operator e agenti di commercio che ogni giorno si spostano, per ragioni di lavoro, con il proprio autoveicolo. Il credito di imposta per il rimborso delle accise che gravano sui carburanti, infatti, copre solo un terzo degli aumenti e si applica - relativamente ai camion - ai mezzi sopra le 7,5 tonnellate, mentre gli Ncc ne godono se operano in un Comune senza taxi. L'ultimo allarme proviene dall'Unione artigiani di Milano.
Nel giro di anno, sottolineano, i costi delle farine di grano tenero sono aumentati del 150% e le scorte sono a rischio. «Si lavora in perdita, ma fino a quando potremo reggere? Il caro energia ci ha già messo in ginocchio», osserva il presidente Stefano Fugazza.
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