Il primo ostacolo a un taglio in settembre dei tassi nell'eurozona è caduto ieri: nel secondo trimestre le retribuzioni sono cresciute del 3,6% rispetto a un anno fa, in netto calo rispetto al 4,7% dei tre mesi precedenti. Dalle tornate per i rinnovi contrattuali soffia insomma un'aria di moderazione che per la Bce ha un solo significato: i rischi di un innesco della spirale prezzi salari si vanno attenuando. Sui famigerati Second round effect, un autentico spauracchio per il potenziale effetto di annacquamento ai giri di vite dati al costo del denaro, l'Eurotower ha ricamato per mesi ricavandone una narrazione ansiogena tesa a giustificare la postura rigida della politica monetaria.
Venuto meno questo alibi, la strada verso un ammorbidimento da un quarto di punto nella riunione del 18 settembre appare più in discesa. Anche se per averne la certezza bisognerà aspettare che altri due tasselli - la produttività e i profitti aziendali - si vadano a incastrare senza difficoltà nel processo disinflazionistico. I verbali del vertice di luglio, resi noti ieri, fanno infatti esplicito riferimento a queste variabili ancora «circondate da alti livelli di incertezza». È questa, probabilmente, la vera ragione che ha indotto il board, con decisione unanime, a lasciare le bocce ferme per rimandare tutto a settembre, mese «largamente considerato come un buon momento per rivalutare il livello di restrizione della politica monetaria».
Una decisione che dovrebbe essere presa «con mente aperta». Frase dalla doppia chiave di lettura: una tecnica, che rimanda all'intenzione di non dar peso eccessivo ai singoli dati; l'altra politica, che sottende la volontà di non farsi condizionare da pressioni esterne. Nella premessa di come l'ultimo miglio di aggressione all'inflazione sia il più impegnativo, Francoforte lascia intendere come siano nulle le probabilità di un calo dei tassi robusto, nell'ordine del mezzo punto, come chiesto ieri dal vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, con l'invito rivolto alla banca guidata da Christine Lagarde a intervenire «drasticamente visto anche il rischio recessione». Pericolo reso peraltro sempre più concreto per le pessime notizie che rimbalzano dalla Germania, dove l'economia è rimasta in contrazione in agosto sia sul fronte manifatturiero, sia su quello commerciale. Un pantano, quello tedesco, da cui sarà difficile uscire stante il nein a investimenti in deficit del ministro dell'Economia, Christian Lindner. Con conseguenze per tutti i partner commerciali di Berlino.
Per quanto la missione della Bce escluda interventi a favore della crescita, per Francoforte è sempre più difficile ignorare il deterioramento della congiuntura usando il paravento di un'inflazione al 2,6%, sideralmente distante dal picco del 10,6% del 2002.
A facilitare il compito dell'Eurotower, è inoltre l'ormai certo taglio dei tassi Usa in seguito al forte indebolimento del mercato del lavoro. Oggi, dal palco del simposio di Jackson Hole, potrebbe arrivarne la conferma dal presidente della Federal Reserve, Jerome Powell.
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