La "Befana" di Zingaretti: chiede soldi ai dipendenti

La giunta del Lazio rivuole 4 milioni dai funzionari che hanno lavorato a progetti regolarmente deliberati

La "Befana" di Zingaretti: chiede soldi ai dipendenti

Befana amara quella riservata dalla Regione Lazio, guidata da Nicola Zingaretti, a circa mille dipendenti. Ai quali lunedì arriverà una lettera che intima di restituire somme percepite «indebitamente» - secondo l'amministrazione - per più di 4 milioni di euro.

Peccato che quegli emolumenti non siano frutto di «appropriazione indebita» da parte dei mille funzionari apicali, ma rappresentano il compenso per aver fatto parte, tra 2009 e 2012, di gruppi di lavoro regionali. Ossia per aver lavorato, ai tempi delle giunte Marrazzo e Polverini, a progetti speciali decisi e determinati da regolari atti amministrativi, firmati dai responsabili delle varie direzioni regionali che, evidentemente, li ritenevano utili e necessari.

A non pensarla così, invece, è stato il Mef. Che, al termine di un'ispezione amministrativo-contabile effettuata nell'ormai lontano 2012, aveva presentato 25 rilievi e contestazioni, invitando la Regione a chiarire e a rientrare delle spese considerate indebite. Così, con lo spettro della Corte dei conti che incombeva, l'amministrazione - nel frattempo guidata da Zingaretti, si è messa al lavoro presentando una serie di controdeduzioni al ministero dell'Economia, molte delle quali accolte. Per i rilievi le cui contestazioni sono rimaste in piedi, invece, l'ente locale ha scelto di recuperare le somme con un piano di rientro quinquennale. Tranne per il rilievo numero 13: «Illegittima corresponsione di compensi aggiuntivi, al di fuori delle disponibilità del fondo, in violazione del principio di onnicomprensività, in relazione allo svolgimento di compiti ordinari, a favore di soggetti titolari di posizione». La somma contestata, poco più di 4 milioni di euro (4.058.395,94), per la delibera 379/2015 della giunta Zingaretti va recuperata «in capo ai soggetti percettori». Ossia i malcapitati dipendenti finiti nei gruppi di lavoro perché chiamati dai dirigenti che li avevano costituiti, dirigenti ai quali nulla viene però contestato. E anche sullo «svolgimento di compiti ordinari» ci sarebbe da ridire, visto che l'articolo 58 del regolamento regionale dice che i gruppi di lavoro servono a realizzare «progetti di intervento e studio di carattere straordinario». Ma tant'è, le missive che chiedono indietro i soldi (in media sui 4mila euro pro capite, con punte di 70mila euro) concedono 30 giorni di tempo per il saldo, offrendo come alternative la rateizzazione (a 60 mesi) o il pignoramento dello stipendio. Abbastanza da togliere il sonno a funzionari che - a differenza di molti dirigenti e dei tanti consulenti esterni nominati da Zingaretti (questi ultimi da soli «pesano» ben più dei 4 milioni di euro che il fratello di Montalbano chiede ai suoi dipendenti) - non vantano certo stipendi da supermanager. Inoltre la Regione quei soldi li rivuole indietro per la somma lorda, anche se il compenso incassato è stato tassato in busta paga e dunque l'ammontare era di molto inferiore. Uno schiaffo ai dipendenti, proprio sotto elezioni? O una bomba da disinnescare dopo averla lanciata, per apparire come un deus ex machina che arriva a salvare dal crac finanziario i poveri funzionari? Di certo in questa storia c'è un'altra anomalia.

Un secondo rilievo la cui somma da recuperare viene imputata «ai soggetti percettori», il numero 16, punta l'indice contro le «gravi anomalie nella corresponsione del trattamento retributivo accessorio» destinato al personale delle segreterie politiche. Un milione di euro. Per il quale, però, non è partita finora nessuna lettera diretta agli staffisti.

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