L a politica fatta con i «no» non costa nulla, una grande opera vale 50 milioni di ore di lavoro e ne genera in maniera esponenziale. Sta tutta qui, plasticamente, la differenza tra l'idea di società immaginata dai Cinque stelle nelle loro dirette streaming e quello che accade là fuori, nel mondo reale. Perché proprio nel giorno in cui il Movimento è dilaniato in guerre di potere stile partito da Prima Repubblica - magari... -, dal Salento arriva l'annuncio della piena operatività del Tap, ovvero la porzione conclusiva del Corridoio meridionale del gas proveniente dall'Azerbaigian, così tanto avversata per non dire demonizzata dai pentastellati.
Sono passati (solo) quattro anni e mezzo dalla cerimonia inaugurale di Salonicco, quando si posò la prima pietra del Trans Adriatic Pipeline: 878 chilometri che attraversano Grecia, Albania e canale d'Otranto per poi spuntare a Melendugno (Lecce). L'infrastruttura strategica, che punta a rendere l'Italia e l'Europa meno succubi delle scelte energetiche russe, ha cominciato a trasportare 10 miliardi di metri cubi di gas all'anno, con l'obiettivo di raddoppiarne la portata. Le perplessità avanzate dal punto di vista della sostenibilità ambientale sono state superate dai fatti. L'impatto sul mare e i territori interessati è stato reso più basso possibile. Circa 500 ulivi, espiantati dai terreni pugliesi, sono stati curati in vivai altamente specializzati fino alla ricollocazione nella loro posizione originaria al termine dei lavori. Tutto questo, non dimentichiamolo, nel mezzo di una pandemia globale e affrontando un'altra epidemia non meno devastante rispetto al Covid-19, ovvero quella Xylella che ha quasi sterminato l'albero simbolo di una regione e di tutto il Mediterraneo.
I Cinque stelle nella battaglia anti-Tap si sono giocati tutto e non solo giù in Puglia, strizzando l'occhio anche alla protesta violenta. I cantieri hanno operato in condizioni da guerriglia, ed è stata necessaria la costituzione di una «zona rossa» blindata per consentire che l'opera vedesse la luce. Come già successo con la questione Tav, il M5s ha pagato il prezzo della contrapposizione basata sul pregiudizio.
Qualcuno oggi si ricorda dell'ex ministra Lezzi? Il risultato è nelle urne. E mentre gli alfieri dell'intransigenza come Di Battista si riprendono la scena, il messaggio è forte e chiaro. C'è un Paese del fare che va avanti nonostante il grillismo.
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