Belgrado, Tirana e Sarajevo: le nuove "primavere" dei Balcani

Dalla Serbia all'Albania, dal Montenegro fino alla Bosnia. Le piazze in fermento contro i governi. E ora spopola l'hashtag #BalcanSpring

Belgrado, Tirana e Sarajevo: le nuove "primavere" dei Balcani

Tornano a infiammarsi le piazze del costone balcanico, con migliaia di cittadini impegnati in una nuova «primavera» di manifestazioni e cortei. Da Belgrado a Tirana, passando da Bucarest e Podgorica il comun denominatore è la protesta popolare contro i governi in carica. Una spia di come la frammentazione post scomposizione della ex Jugoslavia celi ancora disagi sociali e contraddizioni politiche, con la difficile convivenza di etnie, religioni e interessi geopolitici assolutamente divergenti. E sui social ha iniziato a rincorrersi un nuovo hashtag: #BalcanSpring.

Non si placano gli scontri a Tirana, con l'opposizione dei popolari conservatori che chiamano a raccolta cittadini ed elettori contro il governo socialista di Edi Rama. Succede dall'inizio dell'anno. Il bilancio di ieri parla di 5 agenti feriti e 15 manifestanti colti da malore per i lacrimogeni. Il tutto dinanzi al palazzo del governo, dove i manifestanti hanno sfondato il cordone della polizia. Ma oltre la politica (o dentro di essa) si gioca un'altra doppia partita: il dossier energetico con le concessioni per le esplorazioni a caccia di gas e petrolio e il cip di ingresso per quegli investitori stranieri che stanno cavalcando l'Albania come porta verso il lungo costone balcanico (Erdogan sa realizzando a sue spese un aeroporto internazionale).

Dopo gli episodi dello scorso dicembre sabato scorso un altro corteo si è tenuto a Belgrado contro il presidente serbo Aleksandar Vucic, accusato di autoritarismo e di voler silenziare i media. L'opposizione ha stimato che in piazza siano scese decine di migliaia di persone, (meno di settemila per la polizia). Tutti intonavano inni provocatori, gridando «ladri» alla compagine governativa, attesa dalla scadenza elettorale il prossimo anno, marciando dal parlamento nazionale al palazzo del governo.

Vucic, un ultra-nazionalista diventato filo europeo, ha respinto le accuse e come risposta alla piazza ha programmato un raduno dei suoi sostenitori per il prossimo venerdì a Belgrado. Ma mentre in Serbia la scintilla è da ritrovarsi nel massacro del leader dell'opposizione, Oliver Ivanovic, in Montenegro, definito «Stato mafioso» dal Foreign Office Usa, la disobbedienza civile è stata alimentata dallo scandalo della corruzione che coinvolge alti funzionari del partito al governo. Primo fra tutti il presidente Milo Djukanovic, da 25 anni ininterrottamente al potere nonostante sia stato eletto «criminale dell'anno» nel 2016. Già attenzionato dalle procure di Napoli e Bari per traffico internazionale di sigarette, sfuggì all'arresto grazie allo schermo diplomatico, ma negli ultimi cinque anni è stato al centro delle proteste di piazza. L'ultima manifestazione risale ad una settimana fa, quando a Podgorica l'opposizione ha chiamato a raccolta cittadini e lavoratori per chiederne le dimissioni assieme a quelle dell'esecutivo e anche del procuratore generale e dei vertici della tv pubblica Rtcg.

Tra i vari scandali quello più significativo tocca la Prva Banka controllata dalla famiglia Djukanovic finita sotto indagine perché i due terzi dei prestiti emessi non avevano ricevuto alcun interesse in cambio. Singolare che una banca prestasse soldi gratis.

Tra Serbia e Kosovo non cessa la tensione: in Kosovo la popolazione è principalmente di etnia albanese, mentre Belgrado la pesa solo come una provincia separatista, e Bruxelles si augura che un accordo sulle frontiere possa ridurre le possibilità di un

conflitto. Il primo ministro del Kosovo Ramush Haradinaj ha respinto qualsiasi ipotesi, accentuando la tesi di chi pensa che una continua destabilizzazione dei Balcani occidentali favorisca altri players come Russia e Turchia.

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