Quando mancano ormai meno di due anni alla fine della legislatura, i partiti sono alle prese con grandi ristrutturazioni. Sul futuro della politica italiana, per la rubrica Il bianco e il nero, abbiamo interpellato il politologo Giovanni Orsina, direttore della Luiss School of Government e il sociologo Luca Ricolfi, Presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume.
Nel 2023 la sfida sarà tra Conte e Meloni oppure tra Letta e Salvini?
Orsina: “Butto la palla in corner e le dico che la sfida sarà tra un'alleanza tra Conte e Letta e un'alleanza tra Salvini e Meloni perché non credo che nessuno di questi sarà in grado di occupare da solo o tutta la destra o tutta la sinistra. Non credo che nessuno di loro avrà la possibilità di sopravanzare l'altro. Tra tutti, quello che è più in difficoltà è Conte e credo che lui sia un passo indietro rispetto agli altri perché la trasformazione del M5S sarà effettivamente molto difficile. Gli altri saranno tutti presenti, ma difficilmente avranno la possibilità di monopolizzare da soli il proprio schieramento. Nel centrodestra vedo una diarchia Meloni-Salvini, ma al momento è difficile fare previsioni su chi sopravanzerà chi. Molto dipenderà da come andrà il governo Draghi”.
Ricolfi: "E se fosse tra Letta e Meloni? Dopo tutto Letta è la faccia ragionevole della sinistra, Meloni è la faccia ragionante della destra".
Enrico Letta riuscirà nel suo intento di costituire un nuovo Ulivo, basato su un'alleanza organica tra Pd e M5S?
Orsina: “Secondo me, alla fine, quell'alleanza si farà, soprattutto se resta l'attuale legge elettorale. L'Ulivo è una formula da legge maggioritaria. Se la legge dovesse cambiare, il nuovo Ulivo si smonterebbe e ciascuno andrebbe per conto suo. Se, invece, come appare molto probabile, resterà una quota maggioritaria, allora Pd e Cinquestelle non avranno alternative: dovranno fare una coalizione sennò non avranno chances nei collegi uninominali. Un'alleanza ci sarà, ma i due partner avranno la difficoltà di distinguersi l'uno dall'altro. Il M5S a guida Conte, infatti, è un partito di centrosinistra moderato che non si capisce in cosa possa distinguersi dal Pd”.
Ricolfi: "Temo proprio di sì. La voglia di stare al governo prevarrà sul timore di ibridarsi con una forza qualunquista, assistenzialista e giustizialista".
Come sarà il nuovo M5S di Conte? L'ex premier riuscirà a ottenere la leadership del centrosinistra?
Orsina: “Se Conte si presenta come leader del M5S non potrà pure essere il leader dell’intera alleanza, a meno che anche nel centrosinistra non si faccia lo stesso ragionamento che è stato fatto nel centrodestra, ossia che chi ha più voti diventa il candidato premier. A quel punto bisognerà vedere se il M5S avrà più voti del Pd. Dopo di che, cosa sarà il nuovo M5S è davvero un grandissimo punto interrogativo. Il M5S aveva un'identità in quanto movimento di protesta e anti-casta, era un partito sostanzialmente di opposizione. La metamorfosi proposta da Conte è quella di un partito di centrosinistra e avrà un problema identitario macroscopico che non sarà per niente facile risolvere perché sul “mercato” non ci sono delle identità politiche disponibili”.
Ricolfi: "Suppongo che il nuovo M5S di Conte sarà più democristiano, meno anti-europeo, più ambientalista. Una specie di Dc green, abbrutita da un pizzico di moralismo e giustizialismo. Quanto alla conquista della leadership del centro-sinistra, la vedo difficile: sarebbe uno smacco troppo grande per la classe dirigente del Pd. Un ceto politico che, per quanto di levatura modesta (rispetto all’era di Berlinguer, e persino a quelle di D’Alema e Veltroni), resta nettamente superiore a quello dei Cinque Stelle".
L'ingresso della Lega nel governo sarà controproducente per Salvini? La svolta europeista è già tramontata?
Orsina: “Moltissimo dipenderà da come andrà il governo Draghi. Un successo anche relativo consentirebbe a Salvini di rivendicare la propria “scelta responsabile”. Certo, la Lega continua a perdere nei sondaggi. Ma perdeva anche prima: il problema sembra prescindere dall'ingresso al governo (il che per altro non lo rende meno grave, al contrario). Non credo che la svolta europeista sia tramontata, né credo che sia mai sorta. Salvini continua a giocare su una posizione ambigua e l'ambiguità in politica è sempre una risorsa, ma anche un pericolo: da un lato consente di star seduti su due sedie e scegliere di volta in volta la più opportuna, dall’altro rende l’identità politica meno chiara. C'è un processo di ridefinizione della posizione della Lega sull'Europa che non approderà all'euroentusiasmo, ma non sarà neppure così euroscettica come negli anni passati”.
Ricolfi: "No, la svolta europeista secondo me è irreversibile, ma non perché la Lega ora apprezzi l’Europa, ma perché l’Europa ormai non la apprezza più nessuno (salvo forse Emma Bonino e Carlo Calenda), e dunque l’essere europeisti o non esserlo non è più una discriminante dotata di senso. Dopo il fallimento dell’intera politica di gestione del Covid (e non solo sui vaccini), è abbastanza evidente a tutti che l’Europa non è la soluzione, ma è il problema. In queste condizioni non ci si dividerà fra europeisti e anti-europeisti, ma più prosaicamente sulle cose che si contestano all’Europa".
La concorrenza tra Salvini e Meloni porterà dei vantaggi o determinerà la fine della coalizione di centrodestra?
Orsina: “Se si vota col maggioritario, la coalizione di centrodestra non può finire. Salvini e Meloni dovranno rimettersi insieme, ma d'altra parte a destra abbiamo visto le scissioni più incredibili. Quando Forza Italia stava nel governo Monti, la Lega era all'opposizione e poi il Carroccio ha governato con i Cinquestelle. Nei Comuni e nelle Regioni, però, Salvini ha sempre fatto l'accordo con Meloni e Berlusconi. A destra c'è una grande tradizione di marciare divisi per colpire uniti e, perciò, se resta il maggioritario, non credo ci sia, per la destra, la possibilità di dividersi. Dopo di che, teoricamente, la divisione di un partito al governo e uno all'opposizione dovrebbe consentire a Lega e FdI di massimizzare il consenso. La Lega prenderebbe il consenso degli elettori dei ceti produttivi che avevano più interesse che nascesse il governo Draghi e FdI il consenso di coloro che sono più ostili a questa esperienza. Questa divisione, per l'intera coalizione di centrodestra, dovrebbe essere un vantaggio se Salvini e Meloni dovessero riuscire a non litigare troppo. Devono trovare la misura per cui si differenziano, polemizzano l'un con l'altra, ma senza mettere in pericolo l'alleanza”.
Ricolfi: "Non penso che l’alleanza si incrinerà per il solo fatto che Giorgia Meloni sta all’opposizione del governo Draghi, e la Lega no.
Se vedo un motivo di attrito è sulla leadership, perché fra un anno i voti virtuali di Meloni (rilevati dai sondaggi), potrebbero superare quelli di Salvini, che pagherà i limiti del governo Draghi (che pure, per me, è assai meglio del governo Conte). A quel punto, se Meloni va sopra il 20% e Salvini sotto, potrebbe succedere qualcosa…".
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