Gerusalemme È difficile dire chi ha veramente vinto le elezioni in Israele, anche se Benny Gantz secondo gli exit poll del canale 13 ha quattro seggi più di Netanayhu (37-33). Secondo il canale 12 invece sono pari a 36. Ma la realtà è che il primo ministro sarà colui che riesce a formare il governo, per fare il quale occorrono almeno 61 voti in Parlamento. Le peggiori paure della sinistra, ovvero quelle della sparizione del Partito Laburista e del Meretz sono state fugate: il primo ha 8 e il secondo ha 4-5 seggi. Ma il blocco di destra sembra per ora essere più numeroso, e in questo caso Netanyahu sarà primo ministro per la quinta volta.
La regola è che il presidente conferisca il mandato a seconda dei consigli dei partiti: per ora la maggioranza è pro-Bibi. Certo non è il trionfo che il premier che ha portato l'ambasciata Usa a Gerusalemme e il benessere al suo Paese avrebbe desiderato. Il martellamento contro Netanyahu ha avuto il suo risultato, anche se Bibi può farcela. Forse in questa fase, anche dopo giorni di aggressività estrema Netanyahu e Gantz ricominciano a pensare all'eventualità di una coalizione invece che a un governo fragile nel numero dei voti. Nel combattere la battaglia, nonostante i colpi bassi, i pettegolezzi, le accuse non si è perso il senso che per Israele le elezioni stesse sono una vittoria sulla storia: il popolo ebraico ha il suo Stato, la sua democrazia, con ben 6,3 milioni di cittadini che hanno diritto al voto, i media si sono ingaggiati in un furiosa competizione con schemi e esperti
Il voto è stato un referendum su Netanyahu in cui ambedue i partiti maggiori, il suo Likud e Blu e Bianco, sono passati da dichiarazioni preventive di vittoria a richieste di aiuto agli elettori. I duellanti hanno lanciato alle folle il loro appello che è suonato disperato come una richiesta di palingenesi o di pace. Non è comune vedere il premier che gira con un megafono per le piazze e i mercati, e stavolta è andato in giro a dire: questione di vita o di morte. E anche Gantz e i suoi capi di stato maggiore sono passati da flettere di muscoli all'appello diretto e disperato. Non è stato uno scontro politico, perché nessuno aveva programmi di pace o di guerra, ma di svolte economiche o sociali: solo la determinazione a continuare in un ben sperimentato programma o cambiare una stagionata leadership.
Bibi è un personaggio su cui si è accanita una furiosa critica internazionale: il fallimento di ogni trattativa coi palestinesi gli è stato imputato nonostante tutti i rifiuti e il terrorismo di questi anni, nella fantasia del politically correct Netanyahu è il colpevole. Il leader coi suoi 13 anni al potere, i suoi quattro mandati e la gioventù di combattente nella Sayeret Matkal, l'unità più audace, con la quale ha rischiato più volte la vita, è stato ferito due volte, ha costruito una personalità resistente alle critiche fino all'odio bruciante per la moglie. Figlio di uno dei migliori storici della storia del popolo ebraico, fratello di Yonathan che a Entebbe, miracolosamente salvò 102 ostaggi nel '76, restando ucciso, Bibi sente la sicurezza sociale di appartenere alla schiatta del sionismo originario, laico, colto ma conservatore.
Adesso comincia la sua battaglia per ottenere il mandato e formare il governo, mentre Gantz farà lo stesso riprendendo un'intuizione molto equilibrata. Come ogni soldato di alto grado ha certo rischiato la vita anche se nessuno può dimenticare che nel 2011 divenne capo di stato maggiore in seguito a uno scandalo che costrinse a chiamarlo.
Ma si tratta di un personaggio attaccato al suo Paese, figlio di sopravvissuti della Shoah, colto, affidabile, prudente, che ha subito scelte altrui nella linea di rabbia e odio contro il nemico. Adesso comincia la guerra di seduzione e di inganni per la formazione del governo.
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