Spaccatura nella maggioranza, cortocircuito nel Pd. Alla fine, dopo il lungo dibattito e le molte schermaglie delle ultime settimane, in Commissione Affari Costituzionali del Senato si arriva al voto sull'emendamento per il terzo mandato per i governatori.
Se la proposta di una terza chance di rielezione per i sindaci sopra i 15mila abitanti viene ritirata dalla Lega, su quella per i presidenti di Regione il Carroccio decide di andare alla conta. Il governo decide di non mettere nero su bianco il suo parere contrario, mantenendo un basso profilo. Il verdetto è quantomai netto: in 16 votano contro - uniscono le forze Fratelli d'Italia, Forza Italia, Pd e Cinquestelle - solo quattro a favore (Lega e Italia Viva), con un astenuto (Autonomie). Azione non partecipa al voto.
I toni però all'interno della maggioranza non si accendono per una sconfitta che la Lega aveva già messo in conto e metabolizzato, decidendo comunque di dare un segnale al proprio elettorato e alla galassia veneta che vorrebbe la conferma di Luca Zaia oltre il 2025. Maurizio Gasparri garantisce subito che lo stop «non ha creato nessuna lacerazione». Replica a caldo il leghista Paolo Tosato: «Per noi la partita non è chiusa. Ci riproveremo». Da lì a poco prende la parola Matteo Salvini. «Non ci sarà alcun problema in maggioranza. La posizione della Lega è chiara ma siamo in democrazia: ogni tanto le proposte della Lega passano altre volte, come in questo caso, vengono bocciate perché tutti gli altri, Forza Italia, Fratelli d'Italia, Pd, M5s sono contro. Secondo me è un errore».
Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento, avanza invece una critica di metodo: «Sarebbe stato meglio ritirare l'emendamento. Il decreto legge non è lo strumento giusto, perché parla di altre cose».
Se i toni restano misurati, la Lega agita lo spettro di una controproposta. Roberto Calderoli, parlando con Repubblica, annuncia che se dovesse essere confermato il muro contro il terzo mandato allora sarebbe coerente fissare il limite dei due mandati per i parlamentari e qualsiasi carica politica. E anche Giovanni Toti protesta facendo notare che «i parlamentari contrari talvolta siedono in Parlamento dagli anni Ottanta-Novanta».
Giorgia Meloni, però intervenendo in serata a Porta a Porta non si tira indietro. «Nessun problema per il governo. E sono favorevole al vincolo dei due mandati per il premier» annuncia. La presidente del Consiglio si dice anche convinta che la riforma del premierato arriverà al referendum, «ma non è un voto su di me ma su quello che succede dopo, è una occasione storica», aggiungendo che «il premio di maggioranza va rimandato alla legge elettorale». Così come si dice «colpita dal silenzio di Elly Schlein sugli insulti di Vincenzo De Luca».
Se il confronto è vivo all'interno del centrodestra, ben più acceso è quello dentro il centrosinistra. Se da una parte Elly Schlein festeggia per la spaccatura nella maggioranza, le ripercussioni dentro il suo partito sembrano più profonde. Il motivo lo spiega bene Energia Popolare, l'area Bonaccini, che rispetto allo stop al terzo mandato per i sindaci sopra i 15mila abitanti dice chiaro e tondo che sono stati violati i patti. «Non è stato rispettato l'impegno preso in Direzione, ora andrà gestito il malcontento di sindaci e governatori».
Italia Viva indossa l'artiglieria pesante. «Sul terzo mandato il governo Meloni poteva andare sotto. Invece il Pd, pur di mandare a casa De Luca e Bonaccini e regolare i conti interni, ha salvato il governo. Poi chiariamoci bene quando parlate di finta opposizione» dice Davide Faraone, mentre per Maria Elena Boschi «il Pd riformatore non esiste più».
Alza la voce anche il presidente dell'Anci Antonio Decaro, sindaco di Bari uscente ed esponente del Pd. «La partita sul terzo mandato per i sindaci non si chiude qui» dice. «L'esclusione del terzo mandato per i Comuni sopra i 15mila abitanti diventa una vera discriminazione».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.