Roma Tito Boeri resiste sulla poltrona di presidente dell'Inps e ottiene il primo risultato: una frattura tra Lega e M5s, sul futuro dell'economista piazzato nel 2014 da Renzi a capo dell'Istituto di previdenza sociale. Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, 24 ore dopo lo scontro con Boeri sulle ricadute negative occupazionali del decreto Dignità, ingrana la retromarcia, frenando sull'ipotesi di cacciarlo subito: «Per quanto riguarda il presidente Boeri la legge non ci consente di rimuoverlo. Quando ci sarà il rinnovo, ovviamente si valuteranno tutte le decisioni da prendere sull'Inps e non solo», spiega il vicepremier. Di avviso opposto, il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, che preme per la defenestrazione immediata. Concetto ribadito domenica sera dalla trasferta in Russa: «In un mondo normale se non sei d'accordo con niente delle linee politiche, economiche e culturali di un governo che tu rappresenti politicamente, perché il presidente dell'Inps fa politica, un altro modo di vedere il futuro, ti dimetti».
Sullo sfondo dei rapporti tra Lega e il vertice dell'Istituto di previdenza più che i numeri sul decreto dignità pesa lo scontro su migranti e pensioni. Ma Salvini punta anche a liberare la poltrona della presidenza Inps per inserirla nell'accordo con Di Maio sulla nomina dei vertici delle aziende di Stato in scadenza, tra cui Cassa depositi e prestiti, Fs, e Rai. Le minacce non sortiscono alcun risultato: il numero uno dell'Inps difende i propri dati e non dà segnali, per ora, di passi indietro: «Se mi vogliono cacciare, mi caccino. Io però resto al mio posto», commenta Boeri che si prepara all'audizione in Parlamento sul decreto.
C'è poi la terza posizione, sostenuta dal presidente della Camera, Roberto Fico, che rimanda la decisione a Conte. Messaggio che suona come un alt agli attacchi dei leghisti, aprendo la strada a una soluzione ponte. Senza strappi. D'altronde, Boeri è stato il vero ispiratore del provvedimento dell'ufficio di presidenza della Camera sul ricalcolo dei vitalizi. Anche se tra Boeri e l'esecutivo giallo-verde non c'è mai stato feeling. L'ultimo strappo si è consumato sul decreto dignità, che secondo i dati forniti dall'Inps produrrebbe ricadute occupazionali negative con una perdita di 8mila posti di lavoro in un anno. Stime che una «manina», in questo caso quella di Boeri, secondo Luigi Di Maio - e anche secondo il ministro dell'Economia, Giovanni Tria - avrebbe inserito nella relazione tecnica al decreto». Calcoli che secondo il ministro dell'Economia sono «privi di basi scientifiche e in quanto tali discutibili». Balletto che ha rimesso sul mercato delle poltrone la presidenza Inps.
A febbraio del 2019, scade il mandato di Boeri. Rimuoverlo prima appare complicato. E c'è una ragione politica: il M5s non vuole cedere alle pressioni del Carroccio. Sarebbe l'ennesimo passo indietro. Si apre, dunque, la strada alla convivenza forzata.
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