Bonaccini in imbarazzo sulla patrimoniale. E il Pd litiga sui vessilli

Il governatore emiliano dribbla il tema delle tasse mentre la Schlein evoca stangate fiscali

Bonaccini in imbarazzo sulla patrimoniale. E il Pd litiga sui vessilli

La gara è ormai alle battute finali, e domenica sera il Pd avrà finalmente il suo segretario dopo mesi e mesi di congresso.

Che però non hanno fatto malissimo al partito, se i sondaggi iniziano a registrare segnali di risalita del consenso. Cosa accadrà dopo è tutto da vedersi, ma il rischio di un Pd avviato verso la deriva corbynian-melenchonista (modelli entrambi in malinconico disarmo nei Paesi d'origine, ma ancora assai di moda nella provinciale sinistra italiana), in caso di vittoria a sorpresa di Elly Schlein, è assai concreto. «Non è niente più di un'infiltrata dei Cinque Stelle», la liquida il filosofo napoletano Biagio de Giovanni, grande vecchio del riformismo italiano. Le ricette dell'altro candidato, Stefano Bonaccini, sono più prudenti e sfumate, improntate al pragmatismo emiliano, ma senza i guizzi mediatico-populisti dell'avversaria. Ieri Bonaccini ha dato un'intervista al Sole 24 ore per parlare (a differenza della sua competitor) al mondo delle imprese, e con messaggi più rassicuranti: mentre lei sventola le bandiere green senza dar risposte alla crisi di sistema che possono provocare, lui spiega che «il compito della politica» è sì investire sulle rinnovabili, ma anche «guidare il percorso assicurando che le imprese non chiudano e le persone non perdano il lavoro». E se lei mette la patrimoniale nel programma, lui frena e rilancia, in alternativa, la Global minimum tax sulle «grandi multinazionali che generano qui ricchezza che poi portano altrove». E anche sull'alleanza con i grillini di Conte, esaltata dai supporter di Schlein, è assai scettico: ricorda che lui, in Emilia Romagna, governa con M5s all'opposizione, dice che le alleanze si costruiscono solo sulle proposte concrete e che «il Pd ora deve recuperare la sua vocazione maggioritaria», e non lasciarsi trascinare da altri come una banderuola.

E mentre Schlein cincischia con il pacifismo d'accatto che nasconde il sotterraneo sostegno all'invasore («Le guerre non si fermano con le armi»), incarnato da associazioni come Arci e Acli che chiedono al Pd di mettere ai seggi delle primarie le bandierine arcobaleno, Bonaccini si schiera con Enrico Letta. Il segretario uscente del Pd, che ha tenuto il suo proteiforme partito su una linea atlantica e europea di appoggio senza se e senza ma alla Resistenza ucraina, e che stasera sarà alla manifestazione a sostegno di Kyev sotto l'ambasciata russa, ieri ha infatti stoppato la richiesta: bandierine della pace? Solo se accompagnate da una chiara scelta di campo «tra aggredito e aggressore», e quindi dalle bandiere ucraine.

Bonaccini fa sapere di condividere, e dà anche sostegno, almeno sul fronte internazionale, alle scelte del governo: «Meloni ha fatto bene ad andare a Kyev. Condivido la scelta del Pd a sostegno dell' Ucraina, perché come ha detto efficacemente Gianni Cuperlo, se si ferma la Russia finisce la guerra, se si ferma la resistenza Ucraina finisce l'Ucraina».

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