Proseguono le conferme scientifiche sull'efficacia della terza dose anti Covid. Gli ultimi studi, realizzati negli Stati Uniti, sottolineano l'importanza del richiamo in due tra le principali riviste del settore: The New England Journal of Medicine e Science. In Usa sono d'accordo per la dose «booster» agli over 65, ma il dibattito è sulla necessità per altre categorie. Intanto i ricercatori dell'Università di Rochester e del Cincinnati Children's Hospital hanno valutato il vaccino di Pfizer, constatando un'efficacia del 95% contro la malattia da coronavirus da 7 giorni a circa 2 mesi dopo la seconda dose, che però scende all'84% tra i 4 e i 6 mesi successivi. Così in un periodo tra 7 a 9 mesi sono stati somministrati 30 microgrammi di vaccino e i titoli medi geometrici (Gmt) di neutralizzazione contro il virus sono aumentati di oltre 5 volte nella fascia 18-55 anni e di oltre 7 volte in quella 65-85 anni. «Sebbene l'efficacia del vaccino contro malattie gravi, ospedalizzazione e morte rimanga elevata, il calo dell'immunità e la diversificazione virale creano una possibile necessità di una terza dose - scrivono gli autori - le reazioni locali e gli eventi sistemici dopo la dose 3 sono stati prevalentemente da lievi a moderati ed erano simili a quelli dopo la dose 2».
Da sottolineare, poi, che si sono evidenziati effetti protettivi anche contro la variante Beta pari a 15 volte (Gmt) superiore nei giovani adulti e fino a 20 volte negli anziani rispetto alla seconda dose. Da qui la conclusione dei ricercatori: «La sicurezza e l'immunogenicità di una dose di richiamo di BNT162b2 somministrata da 7 a 9 mesi dopo le due dosi suggeriscono sia un prolungamento sia un ulteriore aumento della protezione». Dopo 6 mesi dalla vaccinazione sui macachi rhesus, invece, gli scienziati del National Institutes of Health hanno evidenziato non solo un aumento degli anticorpi neutralizzanti ma anche una protezione contro tutte le varianti di Sars-Cov-2. Lo studio, pubblicato su Science, ha mostrato che le maggiori risposte anticorpali neutralizzanti sono state mantenute per almeno 8 settimane dopo il richiamo a mRNA-1273 di Moderna e sono state molto più alte rispetto alla serie di vaccini già fatti, frenando la replicazione del virus sia a livello polmonare sia al livello della mucosa nasale.
«Questi dati suggeriscono che la dose booster innesca una forte risposta della memoria immunitaria e un'immunità potenzialmente più duratura», scrivono i ricercatori dell'Nih insieme ai colleghi della Emory University e della Johns Hopkins University. Anche in questo caso è stata evidente la protezione contro la variante Beta, che al momento della realizzazione dei 2 studi era quella maggiormente preoccupante e ha costantemente dimostrato la maggiore capacità di resistere alla neutralizzazione, probabilmente riducendo l'efficacia del vaccino. Infatti, «sebbene la Delta sia diventata la variante dominante, ha solo una capacità intermedia di resistere alla neutralizzazione.
Un vaccino di richiamo a mRna può migliorare la durata e la protezione contro l'infezione delle vie aeree superiori e inferiori da parte di una qualsiasi delle varianti circolanti, inclusa la Delta - concludono - ciò sarebbe particolarmente importante per mantenere la protezione contro le malattie gravi e possibilmente limitare l'infezione lieve e la trasmissione del virus».
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