Ci sono tre episodi piuttosto importanti su Giovanni Falcone che Il Giornale è in grado di ricostruire attraverso tre documenti inediti. Persino l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, che per scrivere Vita e persecuzione di Giovanni Falcone si è appoggiato alle sue agende ministeriali dell'epoca, intervistato nei giorni scorsi, non ne parla.
Il primo è l'incontro segreto che il magistrato ebbe con Gaspare Mutolo il 16 dicembre 1991 nel carcere di Spoleto. Martelli esclude che Falcone compisse indagini e che probabilmente, dopo averlo sentito, indirizzò l'aspirante pentito, che voleva parlare solo con Falcone, a Paolo Borsellino. Però l'episodio resta controverso. Mutolo dirà, nelle varie versioni che diede di quell'incontro in aula, nelle interviste e nei libri, di avergli fatto il nome di Domenico Signorino (ovvero il pm che aveva chiesto e ottenuto la sua condanna al maxiprocesso) senza suscitare la sorpresa del magistrato, che si rivolse a quel punto al collega Gian Nicola Sinisi dicendogli: «Hai visto?». Eppure questo contrasta con l'approccio di Falcone con gli aspiranti pentiti, se si pensa che sul solo Tommaso Buscetta aveva chiesto 2.600 riscontri prima di credergli. E ancora contrasta con l'agenda elettronica Sharp del giudice, su cui era stato appuntato il numero di casa di Signorino (e Falcone non segnava il numero di casa di tutti i magistrati con cui aveva lavorato). Indagato, Signorino morirà suicida professandosi innocente: «Qualcuno vuole fregarmi», disse all'Unità.
Infine, Falcone era andato a Spoleto proprio su disposizione diretta del capo di gabinetto al ministero della Giustizia Livia Pomodoro, a cui il giorno dopo però scrisse, come si legge nel documento che pubblichiamo: «Non mi è sembrato che il Mutolo sia disposto a una formale collaborazione con l'autorità giudiziaria e non ritengo, quindi, che debba essere informata la magistratura». Verrà invece fuori, ai processi, che Falcone avrebbe poi informato Gianni De Gennaro dell'intenzione di Mutolo di pentirsi e «per le vie brevi» (dirà De Gennaro), il procuratore di Palermo Pietro Gianmanco. Ma perché scrivere l'opposto nella relazione al ministero?
Il secondo dettaglio su cui mancano ancora risposte è il presunto viaggio a Washington di Falcone a fine aprile del 1992, per interrogare Buscetta sul delitto di Salvo Lima e, verosimilmente, sul presunto piano di destabilizzazione dell'Italia di cui era stato messo al corrente il Parlamento e che profetizzava attentati tra marzo e luglio 1992 (tutti puntualmente avvenuti). Un viaggio confermato inizialmente da autorevoli esponenti istituzionali, anche americani, ma sempre smentito da Via Arenula. Tuttavia, mesi dopo questa smentita, l'allora commissario Gioacchino Genchi, che indagava sulle stragi, recuperò il contenuto della seconda agenda elettronica del giudice, una Casio risultata cancellata «in maniera non accidentale» dopo la morte di Falcone e il relativo sequestro: dentro, erano segnati appuntamenti a Washington di Falcone tra il 28 aprile e il 3 maggio (di cui pubblichiamo la schermata), unica discrasia con l'altra agenda elettronica Sharp. Genchi, che aveva acquisito i tabulati di Falcone, si accorse anche, e lo testimoniò in aula, che in quei giorni i cellulari di Falcone non registravano chiamate: e i telefonini dell'epoca, in effetti, all'estero non prendevano. Chiese di acquisire allora le carte di credito di Falcone, per accertare il viaggio, ma trovò la ferma opposizione di Ilda Boccassini, che riteneva quell'accertamento «invasivo». Di certo, nessuno al ministero della Giustizia ha mai chiarito dove si trovasse il giudice più controllato d'Italia per una settimana. Ai processi Liliana Ferraro, che lavorava a stretto contatto con Falcone, elencò una serie di eventi, verificati ma antecedenti al 28 aprile.
Il terzo episodio che Martelli al Giornale definisce una «colossale bufala» riguarda proprio la Ferraro. Nel libro L'Italia vista dalla Cia del 2005, Paolo Mastrolilli e l'attuale direttore di Repubblica Maurizio Molinari, ricorrendo al Freedom of Information Act, raccolsero alcuni documenti riservati dagli archivi federali del College Park, nel Maryland. Tra questi un dispaccio confidenziale dell'ambasciata di Roma del primo giugno del 1992, in cui si sintetizza un incontro che sarebbe avvenuto il 29 maggio tra l'ambasciatore, il ministro Martelli e alcuni membri del suo staff. Precisava che l'inchiesta su Capaci sarebbe passata a Borsellino: «Il ministro ha annunciato che il 30 maggio avrebbe inviato Liliana Ferraro a Palermo per gestire il passaggio dell'intera indagine nelle mani di Paolo Borsellino, viceprocuratore locale e vecchio collaboratore di Falcone», morto in Via d'Amelio. Una morte su cui ancora oggi c'è un processo per depistaggio ad alcuni poliziotti. Martelli nega di aver mai dato tale incarico alla Ferraro, anche perché il 28 maggio era stato nominato Gianni Tinebra procuratore di Caltanissetta. E di un incontro tra Ferraro e Borsellino il 30 maggio 1992 non si è mai parlato in alcun processo.
Ma, dato che Molinari e Mastrolilli non si sono inventati nulla, resta allora da capire il senso
del dispaccio. Anche perché, al 30 maggio, giorno in cui Borsellino era certamente a Palermo, sull'agenda grigia del giudice - altro documento finora inedito - dalle 18.30 alle 19.30 c'è un memo: «Morvillo (L. Ferraro)».
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