«Come posso vedere mio figlio?». È stata una delle prime frasi che ha pronunciato, almeno due volte, sia quando è stato trovato nascosto nella sua camera da letto che quando ha messo piede in carcere a Brescia. Giacomo Bozzoli, l'ergastolano che da giovedì sconta (in ritardo di 11 giorni) la sua pena per l'omicidio dello zio Mario e per la distruzione del cadavere, ha trascorso la prima notte in cella al «Nerio Fischione» di Canton Mombello, una delle carceri più sovraffollate d'Italia, e la seconda a Bollate. Ancora sotto choc, quasi non ha chiuso occhio, mentre era sorvegliato a vista dagli agenti penitenziari. Il timore che il 39enne possa compiere atti autolesionistici per gli inquirenti è concreto: prima la tensione della fuga, poi i lunghi giorni di latitanza, infine il rientro ancora inspiegabile nella sua abitazione a Soiano del Lago, sul Garda.
La tensione accumulata nel corso delle ultime tre settimane - contraddistinte da una sentenza di condanna definitiva della Corte di Cassazione, da un arresto eclatante in circostanze anomale e dal coinvolgimento diretto di compagna e figlio - potrebbero spingerlo oltre il limite. Inoltre, come se non bastasse, la prima notte dietro le sbarre è stata per lui sconvolgente. Secondo gli inquirenti l'impatto con il penitenziario bresciano, che è saturo di detenuti del 211 per cento e sconta l'emorragia di personale, è stato troppo pesante. Per questo motivo ieri pomeriggio - su disposizione della procura della Repubblica e della direzione del «Nerio Fischione» - è stato trasferito nel carcere milanese di Bollate, in un contesto penitenziario ben diverso da quello nel cuore della città di Brescia. Anche per questo l'imprenditore, che appare ancora particolarmente provato e non ha ricevuto nessuna visita esterna, ieri non è stato ascoltato da investigatori e magistrati; l'interrogatorio, che a dire il vero già non era previsto nella giornata di giovedì, servirà a sciogliere i tanti nodi nell'intricata storia che ha preso avvio (senza che nessuno se ne accorgesse) una settimana prima della sentenza di condanna definitiva e che ha successivamente offerto innumerevoli colpi di scena. Fino all'epilogo clamoroso di giovedì: il rientro di Bozzoli nella sua abitazione, il nascondiglio nel cassettone del letto, l'arresto dei carabinieri col sequestro di 50mila euro in contanti.
Il primo pensiero dell'ormai ex Primula Rossa è stato per il figlio, ma il secondo l'ha rivolto a se stesso, al suo processo, alla sua condanna. Nella sua villa, in caserma e anche in carcere Bozzoli ha ripetuto: «Sono innocente». E avrebbe anche detto di voler impugnare la sentenza, in ogni modo possibile. A confermarlo è stato il procuratore capo di Brescia Francesco Prete, che ha spiegato: «Cercherà di chiedere la rivalutazione del quadro probatorio», riferendosi a ciò che il 39enne ha detto ai magistrati e ai militari dopo l'arresto.
Prima bisogna capire cos'ha fatto negli 11 giorni da latitante: aveva previsto di fuggire? In che modo e dove? Perché ha deciso di tornare, esponendosi al rischio di essere arrestato, pochi giorni dopo il rientro della compagna Antonella e del bambino? Una delle ipotesi vuole che il condannato volesse avere contatti col figlio, che proprio poche ore prima la sua cattura era stato ascoltato in caserma. Ma tutto sembra ancora un caso-gruviera: troppi i buchi, troppi colpi di scena, tante le cose che non tornano. Solo Giacomo Bozzoli potrà sbrogliare la matassa.
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