Calenda adesso si smarca. Dialogo sul salario minimo

Il leader di Azione: "Vedrò la premier". L'11 agosto? La mano tesa del governo spiazza Conte e il Pd

Calenda adesso si smarca. Dialogo sul salario minimo
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Il «tavolo» di trattativa governo-opposizione sul salario minimo, con ogni probabilità, si aprirà. Non è chiaro se dopo le vacanze o prima: ieri, nel campo del centrosinistra, si è registrata una certa fibrillazione dopo le parole di Carlo Calenda, che in un'intervista a Repubblica ha raccontato che la premier Giorgia Meloni gli aveva comunicato la disponibilità di ricevere «a giorni», e «prima della pausa estiva», i rappresentanti della minoranza per discuterne.

E in effetti, negli scorsi giorni, Palazzo Chigi, per vie informali, ha anche buttato lì una data (quella dell'11 agosto, ufficiosamente confermata ieri sera), come possibile appuntamento per un primo giro di tavolo. Ora Meloni attende di sapere se «tutte le opposizioni» sono disponibili all'incontro, nel qual casa è anche disponibile a rinviare di qualche giorno le ferie per discutere il dossier. Un modo per segnalare l'attenzione dell'esecutivo al tema dei salari bassi, e per disinnescare un'arma polemica del centrosinistra, dividendolo sulla trattativa. Alla vigilia della manifestazione, tutta politica, convocata dal leader Cgil (nonché aspirante capo della Vera Sinistra) Maurizio Landini per inizio ottobre contro il governo e la sua Finanziaria. Che ancora non c'è, ma fa nulla: l'importante è che Conte e Schlein si allineino. Cosa che non farà Calenda.

Il leader di Azione era stato il primo a proporre direttamente a Giorgia Meloni di tentare un dialogo «costruttivo» sul salario minimo. Calenda dà per scontato che del tema si dovrà tornare a parlare, ora o subito dopo la ripresa, e manda un avviso a Meloni: «Temo che stia sottostimando l'impatto dell'inflazione, ossia di una pesantissima tassa occulta sui salari: è una questione sulla quale i governi possono cadere».

La proposta di salario minimo per legge a 9 euro è la prima (e fin qui sola) questione su cui l'opposizione si è unificata, con l'eccezione di Italia viva. Ed è anche l'unica questione che ha un certo impatto sull'opinione pubblica, che vive sulla propria pelle l'erosione del potere d'acquisto: non a caso Meloni ha fatto ritirare l'emendamento soppressivo del centrodestra che avrebbe affossato sul nascere la proposta delle opposizioni. Il leader di Azione Calenda (interessato a dimostrare di non andare al rimorchio di Pd e M5s) spiega: «Io non faccio opposizione pregiudiziale: ho appena votato la delega fiscale del governo, quindi non mi preoccupo certo di piantare bandierine nominalistiche. Se il governo viene incontro alla necessità di alzare il potere di acquisto dei salari più bassi, non mi interessa il nome che danno al provvedimento». Di certo, osserva, opporsi tout-court al salario minimo e rifiutare quel «dialogo» che lui stesso ha proposto sarebbe un regalo a chi, come Conte, «vuol solo agitare slogan di piazza» anziché ottenere risultati concreti. Mentre l'apertura di un tavolo negoziale metterebbe in difficoltà l'ala massimalista della sinistra, Conte in testa («Che sta cercando di copiare esattamente le mosse di Meloni quando era all'opposizione», nota l'esponente di Azione Osvaldo Napoli).

La grande paura della sinistra è che il governo provi a mettere un cuneo tra le opposizioni intestandosi l'iniziativa sul tema, e nello stesso Pd il capogruppo in commissione Lavoro, Arturo Scotto, segnala che - alla ripresa - il governo potrebbe bloccare la proposta delle opposizioni «agendo su due leve: quella fiscale, concentrando il taglio del cuneo sui redditi più bassi, e quella di introdurre una forma di salario minimo legato alla contrattazione e non stabilito per legge». Ottenendo in ogni caso il congelamento del tema fino a dopo la sessione di bilancio, ossia all'anno prossimo.

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