"Il CamaleConte vittima della sindrome di Stendhal"

Da avvocato del popolo a Giuseppi. La parabola di un leader per caso, che ora non si rassegna: "Può provare ad aumentare il consenso nel Paese"

"Il CamaleConte vittima della sindrome di Stendhal"

Arrivato da perfetto sconosciuto a Palazzo Chigi, Giuseppe Conte se ne va con l’ambizione di un partito tutto suo. Lascia da Giuseppi, ex comandante in capo anti-Covid e non più da carneade della politica, dopo essere passato dall’alleanza con la Lega a quella con il Partito democratico, senza colpo ferire. In mezzo la sua metamorfosi, appunto, con il fido scudiero al suo fianco: Rocco Casalino, stratega di comunicazione più che semplice portavoce. “Conte è stato sull’onda di questo tempo che si è innamorato della parola resilienza e raro esempio di urodelo politico, della famiglia delle salamandre, riuscito a sopravvivere agli abbracci letali prima di Salvini e poi di Zingaretti, senza battere ciglio”, dice a IlGiornale.it Pino Pisicchio, ex parlamentare di lungo corso e ora osservatore esterno nel ruolo di docente. Conte saluta la comitiva con la consolazione dei sondaggi abbastanza favorevoli. “Ma la popolarità è un fiato di vento. Per verificarla servono le elezioni”, evidenzia Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna.

L'avvocato del popolo all'ombra di Salvini e Di Maio

In ogni caso per Conte questa sconfitta vuole rappresentare un punto di ripartenza. Per riprendersi la presidenza del Consiglio abbandonata con la crisi di governo innescata da Matteo Renzi. L’ex avvocato del popolo ha chiuso, per ora, la parabola, iniziata il 23 maggio 2018, quando è salito al Quirinale per formare l’esecutivo gialloverde. Che la sua epopea fosse burrascosa è apparso chiaro dall’inizio: il primo incarico è andato a vuoto per il veto del Presidente Sergio Mattarella sul nome di Paolo Savona come ministro dell’Economia. Da sconosciuto a meteora, sembrava così segnato il destino di Conte. Invece, otto giorno dopo, è tornato al Colle per ricevere l’incarico e insediarsi a Palazzo Chigi. Presentandosi come “l’avvocato difensore del popolo italiano”. Un’etichetta che gli è rimasta appiccicata addosso, come quando, nel dicembre 2018, rivendicò di essere “orgogliosamente populista”. Era un altro Conte, certo.

“La sua parabola è un’eredità che arriva da lontano, che affonda le radici con la fondazione dello Stato unitario, l’eredità del trasformismo” spiega a IlGiornale.it Massimiliano Panarari, sociologo dell’Università Mercatorum di Roma. “A questa caratteristica – aggiunge l’esperto – si unisce la creazione di figure che non sono politiche. Conte si presentò come un impolitico, un tecnico prestato alla politica. Ma una di quelle figure che apprende velocemente”. E infatti il presidente del Consiglio si rifugia all’ombra dei vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Si fa fotografare con i cartelli che annunciano i decreti Sicurezza, osteggiati dal Pd, e con i volantini che declamano l’istituzione del Reddito di cittadinanza, l’incubo di Renzi. I futuri alleati. Indossa i panni del notaio, il punto di equilibrio, silenzioso. Quasi dietro le quinte. L’apparente idillio dell’alleanza 5 Stelle-Lega si incrina, giorno dopo giorno, con il tema della Giustizia che diventa un macigno. Conte cincischia, rinvia sempre. Prende forma l’abitudine dei Consigli dei ministri notturni, maratone sfiancanti che si chiudono con slittamenti o testi licenziati “salvo intese”.

La metamorfosi di Giuseppi

Il destino del governo è segnato. Anche se, in quelle ore, si affaccia il Conte decisionista: sfidando il niet del Movimento 5 Stelle, dice che la Tav deve andare avanti, la valutazione dei costi-benefici impongono una dose di realismo. La mossa non salva l’esecutivo, cade proprio dopo il voto della mozione sull’Alta velocità. Salvini stacca la spina ed ecco che diventa più veloce il cambio di pelle contiano. Tanto da fargli passare da una maggioranza all’altra in maniera indolore. Da orgogliosamente populista a convintamente europeista. “All’insegna del trasformismo 2.0 arriva il CamaleConte”, sottolinea Panarari.

Come avviene? “La costruzione del politico Conte è possibile grazie a un’impressionante dose di comunicazione, che lo fa diventare Commander in chief nella fase di pandemia”. Casalino diventa sempre più regista, come ricordano le conferenze stampa della prima ondata di Covid-19. Il passaggio avviene nell’agosto 2019, Renzi lo spinge a Palazzo Chigi, facendo sponda con i “nemici” del Movimento 5 Stelle che vogliono Conte alla guida del governo. È protetto dall’endorsement di Di Maio, che lo aveva definito “perla rara da non perdere”. Il 27 di quel mese l’allora presidente statunitense, Donald Trump, twitta il suo sostegno a Giuseppi. Quell’errore, indipendente dalla volontà dello stesso Conte, è un altro spartiacque. Da avvocato del popolo a Giuseppi. La pandemia scongiura la caduta del governo, preparata da Renzi, sulla riforma della prescrizione. Il presidente del Consiglio si consacra come una star: a marzo decreta il lockdown, l’Italia chiude per virus e lui diventa protagonista.

Il CamaleConte si innamora del potere

Le conferenze stampa arrivano, quando è possibile, a orario di cena per la trasmissione a reti unificate con gli italiani incollati alla tv. Con tono paternalistico il premier dice che “torneremo ad abbracciarci” e prolunga la chiusura del Paese fino a maggio, mentre i partiti di maggioranza restano schiacciati. Senza fiato. Così inizia a prendere forma l’ambizione personale, si tratteggia la strada di un suo partito. “Aumenta la dose di concentrazione di potere su di sé. Le tensioni iniziano da lì, di cui Renzi si è fatto rabdomante. Ma sono condivise da Pd e 5 Stelle”, osserva Panarari. Così, affievolita la prima emergenza sanitaria, perde presa il paternalismo contiano. “Conte è stato colpito dalla sindrome di Stendhal che prende chi non è abituato a vivere nelle stanze della politica. Alla fine ti senti predestinato a vita nei broccati di Palazzo Chigi e combini qualche guaio”, afferma Pisicchio.

E c’è un’altra ragione, strettamente connessa alla prima: “Puoi pensare pure a mettere su un partito tuo. Direi che questo è stato l’errore fatale: se lo devi far, ti devi organizzare in silenzio”. La “sindrome di Stendhal” complica i rapporti con la maggioranza: Renzi inizia le manovre di allontanamento. Pd e M5S sono spettatori interessati. Nel frattempo Casalino incappa in qualche infortunio di troppo, come la dichiarazione dal sen fuggita sulla volontà di “asfaltare” Italia viva al Senato. L’asfalto, ossia i numeri a Palazzo Madama, manca. E il profilo del premier inizia a sbiadirsi, nella caccia personale a ogni singolo responsabile per puntellare la maggioranza. Senza dimenticare lo svarione, attribuito a un presunto hackeraggio, di una storia su Instagram in cui deride Renzi, mentre resta asserragliato alla guida del governo.

L'errore di supponenza contro Renzi

Su questo aspetto c’è un’ulteriore valutazione, un errore di tracotanza da parte dell’ex avvocato del popolo: “Conte ha sottovalutato la megalomania di Renzi. Ha pensato di poterlo trattare come ha trattato Salvini, ma Renzi è un ricattatore. Conte ha commesso un errore di hybris, direbbero i greci, di supponenza”, sostiene Pasquino. “Poteva dargli qualcosa prima – rileva il politologo – ma non lo ha fatto. È stato troppo convinto di poter andate oltre, tirandola per le lunghe. Avrebbe dovuto cercare un dialogo diretto con Renzi, invece ha sottovalutato il suo potere di ricatto”. Una sottovalutazione grave, che ha portato Giuseppi al congedo da Palazzo Chigi.

Con un rimpianto: aver rassegnato le dimissioni senza una sfiducia in Parlamento. Ma la sfida non è finita, l'idea è un partito: “Si può prevedere – chiosa Panarari – che possa sfruttare le divisioni dei 5 Stelle e cercare aumento di consenso nel Paese”.

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