E adesso? Adesso c'è da ritrovare l'equilibrio. Non è del tutto vero che elezioni e referendum non toccano il governo Conte. C'è una prima cosa banale. Il voto ha comunque smosso le acque. Non è un'onda. È un increspatura, ma il presidente del consiglio è un pesce di stagno. È vero che si è dimostrato bravo a galleggiare anche nel maremoto, ma la sua vocazione è un'altra: nulla si muove e non ci sono pericoli. L'importante è che all'interno della maggioranza non ci siano scossoni. Nessun passo in avanti, nessun timore degli uni e degli altri di sentirsi minacciati o messi all'angolo. Il rischio è che questo governo sia costretto a governare. Non è la sua natura. Il Pd, per esempio, esce da queste elezioni per una volta più sicuro. Non conta vincere o perdere. È importante come ti senti. Zingaretti, dopo mesi di ombre e tremori, ha smesso di sudare. È sereno. Stanno sereni pure i suoi avversari interni. Bene, viene da dire, il governo è più saldo. Fino a un certo punto. Non bisogna mai dimenticare che Conte si nutre della debolezza di chi lo circonda. Ora il Pd si ripresenta davanti a lui diverso. Non ha più paura e questo cambia le cose.
Il Pd fino a ora ha sopportato tutti i totem dei grillini. Non si tocca nulla del Conte uno, quello di Salvini. Quota 100? Lasciamola lì. Reddito di cittadinanza? Un successo planetario. I decreti sicurezza? No, manco quelli. Non è che i Cinque Stelle sono rimasti davvero coerenti, perché hanno accettato la cosa più importante: spartirsi il potere per il potere. Di Maio, però, si è quasi divertito a umiliare il Pd ogni volta che poteva. Conte gli faceva venire il mal di stomaco e lui si sfogava sul grande partito di sinistra. Giù, state giù. Ogni volta Zingaretti abbassava la testa.
Non sarà più cosi. Bastano poche frasi per capirlo. «Fino a qualche ora fa qualcuno diceva che eravamo subalterni al M5s, poi gli italiani votano e il Pd è il primo partito in Italia». Carta canta. «Se ho sentito Di Maio e Renzi? No, ho parlato con chi ha vinto». Poi ci ha messo il sale. C'è una questione che tutti i Dem faticavano proprio a digerire: i decreti sicurezza. È la bandiera della vecchia maggioranza, quella che doveva essere subito ammainata con il Conte bis. Invece sta ancora lì, come una provocazione, beffarda, insolente, a ricordare la sottomissione. La conta dei voti non è ancora finita e la prima cosa che Zingaretti mette sul tavolo è proprio questa. «Sui decreti sicurezza c'è un accordo. Ora le modifiche vanno assolutamente approvate».
Cosa diranno i grillini? «Noi abbiamo vinto il referendum. Il sì è nostro». Ecco la turbolenza, quella che agita Conte. Nessuno dei due partiti, chiaramente, pensa di far cadere il governo. Abbaiano e lo fanno ancora più forte perché sanno che anche l'altro non può mordere. Solo che queste risse rumorose non si sa mai come davvero vanno a finire. La speranza di Conte è che a nessuno scappi una zanna, ma che fatica.
L'elenco delle questioni su cui si farà caciara sarà lungo. Il Pd cercherà di zittire ogni atteggiamento anti casta dei grillini. Non ci sarà più alcuna concessione al populismo. Gli sbatteranno il Mes in faccia e li costringeranno a cantare tutte le mattine l'inno alla gioia di Beethoven, meraviglios, ma è l'inno della Ue. Cantate, cantate, che non vi fa male. E gli sventurati cantano: «O amici, non questi suoni! ma intoniamone altri, più piacevoli e più gioiosi. Gioia! Gioia!». In tedesco, prego.
Tutto questo però potrebbe solo sfiorare Conte. C'è qualcosa che però rischia di colpire un suo interesse forte. Adesso al centro della scena si materializza la cassaforte. Chi gestirà i soldi del Recovery? Bella domanda. Non hanno neppure ancora pensato a scrivere uno straccio di progetto, ma stanno tutti lì a contare i soldi che arriveranno. Finora a Palazzo Chigi erano convinti che alla fine li avrebbero gestiti tutti da lì, senza interferenze, senza lasciare spazio a fantomatici comitati di consulenti e affini, lasciando soprattutto il più possibile ai margini il ministero dell'Economia.
Anche qui si nota un cambio di passo. Bonaccini, governatore dell'Emilia Romagna e candidato ombra alla segreteria del Pd, riconosce che adesso solo un pazzo parlerebbe di congressi di partito e sposta l'attenzione sui fondi europei. «La scommessa che abbiamo davanti è il Recovery». Zingaretti lo marca stretto: «Il governo ha conquistato centinaia di miliardi in Europa.
Ora tutti noi abbiamo una grande missione, realizzare le promesse che ci siamo presi». Si fa sentire anche De Luca, a nome dei governatori delle regioni: «Chi li gestisce questi soldi?».Conte è avvisato. È cominciata la caccia al tesoro.
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