La camorra e l'archistar I clan volevano investire nel paradiso di Dubai

Un boss aveva ingaggiato la celebre designer Zaha Hadid per un cantiere da 200 milioni di euro

La camorra e l'archistar I clan volevano investire nel paradiso di Dubai

Il lusso arriva all'inferno. Ma non è quello kitsch dei rubinetti d'oro o dei bassi col parquet e le statue della Madonna ingioiellate in camera da letto. È il lusso delle archistar e dei grandi studi di progettazione mondiale. È il lusso che il boss Raffaele Imperiale insegue affidando l'apertura di un cantiere da 200 milioni di dollari a Zaha Hadid, designer iracheno (ma britannica d'adozione) tra le più note a livello internazionale.«Gli ha dato un progetto, l'ho visto... glielo ha fatto lei, è stupendo» esulta al telefono il manager del gruppo Amato-Pagano, Attilio Eugenio Repetti che di Imperiale è consulente economico e assistente. La Squadra mobile di Napoli lo sta intercettando perché dà la caccia a una holding che importa tonnellate di cocaina in Campania dal Sudamerica via Spagna. Oltre alle rotte della droga, i poliziotti scoprono pure un colossale programma di riciclaggio mafioso per la costruzione di dieci ville da venti milioni di dollari ciascuna a Dubai. Il meccanismo della cosca è semplice, ma diabolico: sfruttando il regime fiscale agevolato dell'isola di Man, le finanziarie della holding criminale acquistano e vendono immobili a Barcellona e Madrid e puntano all'edilizia residenziale negli Emirati Arabi. Le trattative, ipotizzano gli inquirenti, sono in stato avanzato. Un bozzetto del quartiere a cinque stelle è già finito nelle mani del padrino che deve valutarlo e chiudere il contratto. Prima però deve risolvere un fastidioso problema di salute.«L'ha disegnato lei, mi ha detto guardi... questa è meglio di Piano ed è un genio, ed è in Inghilterra... ha lo studio a Londra» continua a spiegare al cellulare il colletto bianco della cosca di Secondigliano riportando le parole del gran capo durante il loro ultimo incontro. Hadid (che ovviamente nulla può sospettare del virus mafioso dei suoi committenti) secondo quel che emerge dalle telefonate si sarebbe addirittura mossa personalmente per chiudere la pratica dal punto di vista burocratico.«Dice che è andata lei all'autorità Municipale... del Comune... pensa di Dubai... e che subito l'hanno ricevuta». Non stupisce: nel 2010, il Time l'ha inclusa nell'elenco delle cento personalità più influenti al mondo. E, al momento della contrattazione per il maxi-investimento nel Paese islamico, lo studio «Hadid Zaha Architects» con 246 progettisti dipendenti è collocato al 45esimo posto nella graduatoria dei più importanti studi di architettura del pianeta.Ad ascoltare Repetti non c'è un tizio qualsiasi. C'è l'ambasciatore italiano in Guinea Raffaele Maiorano che pare assai ansioso di conoscere gli esiti dei viaggi del suo interlocutore e i suoi successivi spostamenti. Repetti è appena tornato dal Messico dove ha accompagnato Imperiale per un delicato intervento chirurgico. Parlano in libertà, i due. Facendo attenzione però a non superare la linea d'allarme.«Ho messo a posto la situazione lì per te e per il tuo amico...» lo rassicura il diplomatico, passando a un altro argomento. Il riferimento è con tutta probabilità alla richiesta di un passaporto sudamericano per Imperiale che ha già nel trolley quello italiano e un altro spagnolo. Ma gliene serve un terzo per muoversi con più liberta tra l'Europa, gli Stati Uniti e il Medioriente. Repetti ne voleva uno diplomatico, ma il colpo non gli riesce. Deve accontentarsi di uno messicano.

Come garanzia per il rilascio del documento, il padrino della camorra secondiglianese si sarebbe impegnato a comprare un appartamento di prestigio a Cancun, a depositare in banca del posto 50mila dollari e ad aprire un'attività di import-export nel Paese.

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