Puntuale come la morte nei momenti di svolta la magistratura entra a piedi pari sugli stinchi della politica. Lorenzo Cesa, segretario dell'Udc, in bilico tra il salvare e affossare il governo Conte (martedì i suoi tre senatori hanno votato contro il governo ma sono ora tra i più corteggiati da Conte), è stato indagato per concorso esterno in associazione mafiosa per aver frequentato un imprenditore finito nei guai. I fatti risalgono al 2017 ma il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha scelto proprio queste delicate ore per recapitargli un avviso di garanzia. Gratteri è lo stesso magistrato che nel 2019 chiese l'arresto del governatore pd della Calabria Mario Oliverio, costringendolo alle dimissioni che portarono a nuove elezioni. L'arresto non fu poi concesso dal gip per «manifesta infondatezza dell'impianto accusatorio» e Oliverio, per intenderci, pochi giorni fa è stato prosciolto «per non avere commesso il fatto».
Così vanno le cose in questo Paese anche se, a tutela personale, aggiungiamo che la contemporaneità dell'avviso di garanzia a Cesa e la crisi politica che vede lo stesso Cesa ago della bilancia è soltanto e ovviamente una banale coincidenza. Immagino che il dottor Gratteri abbia avuto i suoi buoni motivi per intervenire sulla scena oggi e non una settimana fa o tra quindici giorni, quando si presume il quadro politico si sarà chiarito. Semplicemente ci auguriamo che questi motivi si rivelino nel tempo più solidi di quelli che portarono a indagare inutilmente il governatore Oliverio. Che la giustizia abbia guardato con grande interesse non solo agli affari e agli intrallazzi della politica ci mancherebbe il contrario - ma anche alle sue dinamiche e agli snodi che nulla hanno a che fare con ipotesi di reato, non è una leggenda né una malizia.
È purtroppo la storia recente di questo Paese che non può essere archiviata né minimizzata.
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