Il campo dei bimbi abortiti: sulle croci i nomi delle madri

Il racconto-choc di una donna: "Mai dato alcun consenso". Il Garante della privacy apre un'inchiesta

Il campo dei bimbi abortiti: sulle croci i nomi delle madri

Il destino dei piccoli che si rigirano nel ventre materno non è uguale per tutti. C'è chi ha la gioia di venire al mondo: sono i neonati cui l'esistenza regala il diritto alla luce. E ad avere un nome. C'è invece chi resta avvolto dal buio perché morto già in grembo: una (in)esistenza che «dona» solo definizioni terrificanti del tipo: «feto da smaltire» (come fosse immondizia da gettare in un apposito contenitore, magari di colore rosa o azzurro in base al sesso); «rifiuto ospedaliero» (al pari di una garza sporca o una siringa usata); prodotto abortivo (peggio di un oggetto contaminato).

Questa seconda - sfortunata - categoria di creature (definirli «bimbi», per alcuni, sarebbe «inesatto») finisce la propria disgraziatissima parabola nei cosiddetti «cimiteri per feti», cioè sottoterra in aree «riservate». Una croce di legno. E stop. A ricordare che si tratta di fiorellini mai sbocciati solo qualche giocattolo che una mano pietosa ha poggiato accanto a quella tomba orfana di lapide.

Fin qui la normale (se pur raccapricciante) prassi burocratica. Ma a Roma, al cimitero Flaminio, ora è accaduto qualcosa che ha fatto scoppiare un caso. Sulle croci dei «rifiuti ospedalieri» sono apparsi dei nomi: sono i nomi (e i cognomi) delle donne che hanno dovuto interrompere la gravidanza.

«Una gravissima violazione della privacy», secondo alcuni; «Il pietroso tentativo di dare dignità a corpicini senza vita», secondo altri.

In mezzo una polemica dai toni sconcertanti, su cui prendere posizione rischia di diventare ancor più avvilente. Tutto è cominciato da un sfogo via social (e dove se no?) di una mamma «sotto choc»: «Non ne sapevo niente, mi sono trovata il mio nome su una tomba. È come se avessero seppellito me, hanno deciso che io sono già morta». E poi: «Nel momento in cui firmai tutti i fogli relativi alla mia interruzione terapeutica di gravidanza, mi chiesero se volevo procedere con esequie e sepoltura. Risposi di no. Rimasi colpita da quella richiesta e ho iniziato a cercare informazioni».

Dopo 7 mesi la mamma sostiene di aver contattato la camera mortuaria dell'ospedale romano dove aveva abortito, ricevendo la seguente risposta: «Signora, il feto sta qui da noi, stia tranquilla anche se non ha dato il consenso, il feto verrà comunque seppellito. Non si preoccupi avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome».

Procedura seguita in tantissimi altri casi, almeno a giudicare dalle testimonianze delle donne che al cimitero Flaminio hanno scoperto «con imbarazzo» che sulle croci dei feti «figura pubblicamente il nostro nome».

Il Garante della privacy ha subito aperto un'istruttoria, mentre associazioni in difesa delle donne e movimenti pro-life l'hanno prontamente buttata sull'ideologico.

Va precisato che quelli seppelliti al cimitero Flaminio sono tecnicamente feti frutto di aborti spontanei o terapeutici, comunque fra la 20° e la 28° settimana, quindi oltre i 90 giorni contemplati dalla legge 194/78 per l'aborto volontario ma previsti per ragioni sanitarie. Intanto tra ospedali e servizi cimiteriali è scattato il più classico degli scaricabarile. Infine, l'immancabile interrogazione parlamentare.

Tutto secondo rigoroso costume italico.

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