Un'ora sola ti vorrei, o magari solo un minuto: per stringerti, morderti alla spalla e stritolarti, annullarti, cancellarti. Maledetto emendamento; a te, e tutta la tua banda di 7.819 perdigiorno racchiusi in tre faldoni.
Pensieri in libertà liberamente tratti dall'iroso Luigi Zanda, capogruppo pidino inopinatamente finito a capo della Sturmtruppen renziana. Quanto spreco di carta, aveva condensato Zanda l'altro giorno guardando i faldoni («il costo della democrazia», si era tosto sentito rispondere). Più o meno come ieri, quando ha provato a prendere martello per demolire le certezze giuridiche del presidente di Palazzo Madama. Fino a farne una goffa questione di tempo: «Faccio notare all'aula - ha detto Zanda -, anche se forse tutti i colleghi lo hanno notato, che noi stiamo discutendo da un'ora e mezza e abbiamo votato un solo emendamento... Che sta facendo, presidente? In che cosa consistono i suoi poteri di coordinamento?».
Non è mancata neppure ieri, dunque, una variopinta bagarre agli ultimi giorni della Pompei senatoriale, travolta dal giovane vulcano mai domo: «Nessun ostacolo ci fermerà. Scherzetti da voto segreto? Li correggeremo alla Camera», ha eruttato ieri da Palazzo Chigi. Ma il ricatto delle elezioni, che già era nell'aria da giorni, ieri ha trovato più di un appiglio. A partire dall'insofferenza con la quale governo e maggioranza hanno accolto le scelte del presidente Grasso. Anch'egli pidino, sulla carta, ma ben restio a perdere dignità su materie di legittimità democratica. Fortuna che sulla giornata di colate laviche, lapilli e cenere, s'è mosso anche un deus ex machina : Giorgio Napolitano. Che ha ricevuto al Quirinale sia il capo della più prolifica (in emendamenti) e preparata (in diritto) pattuglia di Palazzo Madama, quella di Sel, sia il presidente Grasso, tacciato di volta in volta come arbitro «sospetto» di connivenza con il nemico «frenatore».
La seduta d'aula ha avuto una falsa partenza, ieri, per lasciare subito il campo a una convulsa riunione della Giunta per il Regolamento. Sono volati parecchi stracci, con Calderoli dapprima preoccupato («Fanno carne di porco del regolamento»), quindi rasserenato dal fermo procedere del presidente («Ha avuto coraggio e onestà intellettuale»). Grasso s'era trovato di fronte a un evento «senza precedenti»: 920 richieste di voto segreto sugli emendamenti o persino su parte di essi. Temendo imboscate, governo e maggioranza hanno cominciato a perdere le staffe. «Non è ammissibile sulle riforme! I senatori devono votare in modo palese!», sbraitava Zanda. In punta di diritto l'irremovibilità della De Petris (Sel) e dei grillini (peraltro in palese contraddizione con uno dei loro principi cardine: il voto palese). La patata bollente tornava a Grasso, che dopo qualche incertezza si riservava di decidere di volta in volta. L'irritazione zandesca s'infrangeva così mestamente sul muro giuridico dell'ex Procuratore antimafia, refrattario a farsi dettar legge dall'ex segretario di Cossiga. Tra i due sarebbe volata qualche parola grossa e l'«incidente» avrebbe avuto strascichi nel successivo incontro al Quirinale. Ma oltre a cercare di conciliare la fretta renziana con le esigenze regolamentari di Grasso (mai visto di buonissimo occhio, colà ove si puote ), il presidente Napolitano ha cercato di rabbonire anche Vendola, già capetto Fgci e felice di poter dire al vecchio capo migliorista: «Se Renzi la finisce di fare ostruzionismo a se stesso e il governo cambia atteggiamento, potremo ragionare». Non pare che ci siano segnali in tal senso, per ora, se non la fatica dei relatori per trovare un accordo che tagli gli emendamenti da 8.
000 a 500 (Calderoli dixit). Alla fine della battaglia, si contano sul campo solo tre emendamenti feriti a morte. Di questo passo, il lavoro di sterminio sarà concluso in 2.606 giorni, pari a 7 anni e un paio di mesi. Scarsi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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