Al suo primo viaggio alla clinica Dignitas non trovava la strada e il paese perché «in Svizzera di Pfäffikon ce ne sono due. Mi fermai. Chiesi a un pizzaiolo italiano quale fosse quello giusto. Poi ripartimmo. Ero imbarazzato». Era la prima volta che Marco Cappato accompagnava un'italiana a morire. Disse che litigarono per tutto il viaggio, ma a causa della politica, e che poi tornarono indietro, «e lei era rimasta senza scarpe. Le aveva già gettate nel cestino». La donna aveva scelto il suicidio assistito, ma non voleva ingerire il barbiturico che chiedeva le fosse iniettato endovena. «I medici si rifiutarono perché ritennero che la sua volontà non fosse così salda» spiegò Cappato, prima di aggiungere, «ci riprovò il mese dopo. Quella volta riuscì. Era malata di cancro».
Qualcuno ha paragonato Cappato a Caronte, il traghettatore d'anime («Ma lui ne prolungava il dolore mentre io voglio scioglierne la tortura») e qualcun altro gli ha rimproverato di aver fatto della morte un evento mediatico, «ma sono io che rischio dodici anni di carcere». Ed è infatti a causa del suo processo che lo scontro sul fine vita è arrivato alla Corte Costituzionale tanto da costringere il parlamento a scrivere finalmente una legge. Nel 2017 si è autodenunciato per aiuto al suicidio dopo aver accompagnato Dj Fabo sempre alla Dignitas che non è la montagna incantata, ma, secondo Cappato, «l'alternativa al balcone. Ogni anno i suicidi sono più di mille, e però non si dice». Cappato è nato a Monza 48 anni fa, («Scuole cattoliche, poi quella pubblica e infine economia alla Bocconi. Ero uno studente da sei»). La madre è stata la prima in famiglia ad avere la tessera radicale mentre il padre quella repubblicana. Per provocarlo, un cronista gli chiese se il coraggio gli sarebbe bastato per portare anche suo padre a morire. Rispose: «Se me lo chiedesse lo farei. Quella prima volta alla Dignitas fu lui a prestarmi l'auto».
La disobbedienza l'ha dunque respirata tra le mura di casa e alla fine non poteva che scoprirsi radicale («Ma da ragazzo mi sembravano perfino moderati») di cui è stato presidente, eurodeputato, ma anche consigliere comunale a Milano e in quell'occasione conosciuto la moglie Simona, giornalista, che era venuta con l'intenzione di contestarlo ma poi «finito per sposarlo». Ecco, sarebbe un errore credere che la sua battaglia sul fine vita sia solo dei radicali o dell'Associazione Luca Coscioni di cui è il tesoriere e voce come Maria Antonietta Coscioni, fondatrice, con cui Cappato è riuscito a litigare in televisione, («Purtroppo questo è un difetto ma anche una virtù radicale. Siamo abituati agli scontri di potere senza avere potere»). E non è vero che i cattolici lo maledicono. A Radio Radicale pure un prete si è congratulato con lui e i tassisti quando lo riconoscono non gli fanno pagare la corsa.
Non si definisce l'erede di Marco Pannella, ma è il radicale più noto dopo Panella («Uno come lui non può risorgere») e come Panella ha già vinto facendo parlare di eutanasia, argomento che spaventa lui per primo così come spaventava Piergiorgio Welby che, proprio a Cappato, confessò: «Sono preoccupato. Sai, è la prima volta che muoio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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