Carlotta trovata impiccata. Il pm contro il fidanzato: "Condannatelo a 30 anni"

La Procura: "Messa in scena per nascondere il delitto della stilista. Fu omicidio volontario"

Carlotta trovata impiccata. Il pm contro il fidanzato: "Condannatelo a 30 anni"

In questo giallo si deve partire da un assunto: Carlotta Benusiglio era una ragazza meravigliosa. Che meritava di vivere, non di morire. E ciò a prescindere dal fatto che si sia suicidata o che sia stata uccisa dal suo fidanzato. È, ovviamente, una differenza enorme. Su cui, però, dovrà decidere il gup in sede di rito abbreviato. Il pm ha chiesto per l'imputato 30 anni di carcere, ritenendolo colpevole di omicidio volontario. Si tratta però dello stesso imputato che, nel corso di cinque anni di indagine, ha visto cambiare in modo sostanziale il suo «status giudiziario»: da «persona informata sui fatti» con l'ipotesi di archiviazione, a «indagato per istigazione al suicidio» col rischio di una condanna di «media entità»; fino all'accusa più grave: «omicidio volontario» con la prospettiva del massimo della pena. Siamo dinanzi a una escalation che - per alcuni - è la prova che il sistema penale e investigativo «funziona bene», mentre - per altri - è la dimostrazione del suo «fallimento»

In mezzo a questa impasse giudiziaria, c'è da una parte la famiglia Benusiglio che chiede legittimamente giustizia per sé e, soprattutto, per Carlotta; dall'altra parte c'è invece Marco Venturi, il presunto omicida (ma anche possibile «estraneo ai fatti» come in passato non aveva escluso perfino la stessa Procura di Milano).

Ma oggi - dopo (lo ripetiamo) ben 5 anni di ricostruzioni e controricostruzioni - la situazione pare essersi finalmente cristallizzata, almeno secondo la tesi della pubblica accusa. E così il pm di Milano ha chiesto la «condanna a 30 anni» per Marco Venturi, 45 anni; l'ipotesi di reato è «omicidio volontario» per aver ucciso la fidanzata Carlotta Benusiglio, stilista di 37 anni che fu trovata «impiccata» con una sciarpa ad un albero nei giardini di piazza Napoli, a Milano, la notte del 31 maggio 2016.

Secondo il pm, quel «suicidio» sarebbe invece solo la macabra messa in scena allestita da Venturi per dissimulare l'omicidio di Carlotta, la sua fidanzata. Una relazione caratterizzata - e su questo non ci sono dubbi, ma solo certezze con tanto di foto e referti medici - del «comportamento violento e prevaricatorio» di Venturi nei riguardi di Carlotta, tanto che l'uomo è imputato in abbreviato davanti al gup anche per i reati di «stalking e lesioni ai danni della compagna, tra il 2014 e il 2016».

A complicare il processo (prossima udienza il 24 gennaio, con la parola alla difesa di Venturi) ci sarà anche la contraddittorietà di due perizie giunte a conclusioni opposte: una, avvalorando la pista del suicidio; l'altra, escludendola. Tanto che in passato gip, Riesame e Cassazione avevano concordato nel bocciare la richiesta d'arresto avanzata dal pm Gianfranco Gallo nei confronti di Venturi. Il Riesame, attraverso l'analisi dei messaggi di Carlotta, aveva addirittura evidenziato «la chiara «volontà suicidaria della vittima»; in più il sostituto procuratore generale della Suprema corte aveva bocciato il ricorso della Procura definendolo «viziato da genericità». Ma la Procura non si è rassegnata, arrivando quindi all'attuale processo in abbreviato.

Ad ascoltare la richiesta del pm in aula c'erano ieri nell'aula del gup la madre e la sorella di

Carlotta: due donne che non hanno mai smesso di lottare per la verità. Loro al suicidio di Carlotta non hanno mai creduto. Dicono di «confidare ancora nella giustizia».

Parole pronunciate però più con sconforto che con fiducia.

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