Il Carroccio si rimangia la legittima difesa per soccorrere i grillini

Lega e M5s rinviano il varo alla Camera. Di Maio: "Mi massacrano". E il leghista cede

Il Carroccio si rimangia la legittima difesa per soccorrere i grillini

Scena uno: Gigino Di Maio, in conferenza stampa a Montecitorio, tuona: «È una fake news che io abbia chiesto il rinvio della legge sulla legittima difesa: il cronoprogramma della maggioranza non cambia».

Scena due: contemporaneamente, e a pochi metri di distanza, Lega e Cinque Stelle chiedono e votano in aula il rinvio della legge sulla legittima difesa. In teoria alla prossima settimana, in pratica la legge pro-pistole finisce in archivio a tempo indeterminato: i Cinque Stelle sono nel caos dopo la batosta sarda, una parte del gruppo è in rivolta e rifiuta di votare il provvedimento e Salvini, pur ansioso di appuntarsi sul petto la medaglietta dell'autodifesa armata, non può permetterselo. Ne va della tenuta di maggioranza e governo, così il capo leghista deve per l'ennesima volta cedere agli scombiccherati alleati e rinunciare a quella che aveva finora venduto come sua grande priorità. «La approveremo entro febbraio», aveva garantito a fine anno. «La approveremo entro marzo», aveva rettificato qualche settimana fa.

Ieri il capo leghista ha evitato di sbilanciarsi in previsioni che rischiano di essere altrettanto infondate. È costretto a puntellare come può il traballante Di Maio, che dopo il voto sardo gli ha spiegato che la legittima difesa andava accantonata, «altrimenti vengo massacrato dai miei». Per tenere a bada un partito nel panico, Di Maio ha chiesto a Salvini l'ennesimo aiutino: prima di votare sulla libertà di sparo, il vicepremier grillino deve portare a casa uno scalpo da esibire alla sua base parlamentare. Quindi bisogna aspettare che arrivi dal Senato il decretone sul reddito di cittadinanza, e fare della sua approvazione alla Camera un grande evento capace di ridare un po' di lustro a M5s e di invertire la narrazione del suo inesorabile declino.

Così a Salvini non è rimasto che piegarsi e incassare, per evitare incidenti parlamentari. Come è stato per la Tav, e come sta succedendo ora sulle autonomie regionali, su cui ieri si è aperto l'ennesimo fronte coi grillini: i Cinque Stelle hanno minacciato addirittura di sfiduciare la ministra leghista Stefani, che ha in mano il dossier, accusandola di «procedere in solitaria» nella nomina delle Commissioni paritetiche Stato-Regioni che dovrebbero definire i capisaldi della riforma: «Così si intoppa tutto l'iter, viene minata la credibilità del ministro e anche la fiducia che i parlamentari possono riporre in lei». Il ministro replica che «non esiste allo stato alcuna commissione paritetica, e quindi non si sta procedendo a nessuna nomina». Ma il segnale è chiaro: Di Maio non controlla più i suoi parlamentari e non può consentire alla Lega di rivendicare un successo sui suoi provvedimenti.

Forza Italia ha gioco facile ad incalzare Salvini, che in Sardegna ha sì potuto mettere il cappello sulla vittoria del centrodestra, ma di suo ha avuto in realtà un pessimo risultato: sotto al 12%, nonostante il ministro dell'Interno abbia passato settimane sull'isola e in tv a farsi campagna elettorale.

«Giornatona per i temi di centrodestra - ironizza la capogruppo azzurra Mariastella Gelmini - Dopo il rinvio della legittima difesa, ora si blocca anche il percorso delle autonomie e del regionalismo differenziato? E questi vogliono governare cinque anni». Mentre dal Pd l'ex ministro della Giustizia Andrea Orlando attacca M5s per la sua «subalternità al populismo giudiziario della Lega, che lo sta portando alla dissoluzione».

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