Il caso Palamara agita le toghe. "Siamo stati zitti, ora la riforma"

Da Nord a Sud all'apertura dell'anno giudiziario è un mea culpa generale sulla degenerazione del sistema. Il pg di Napoli: "Non basta la condanna, i fatti erano noti"

Il caso Palamara agita le toghe. "Siamo stati zitti, ora la riforma"

Negazione, minimizzazione, ma anche ammissione. Il caso Palamara (nel tondo) irrompe all'inaugurazione dell'anno giudiziario anche nelle 26 corti d'appello dal Nord al Sud del Paese, dopo averlo fatto, due giorni fa, nell'Aula Magna della Cassazione. In qualche distretto, però, si prova a far finta che il terremoto provocato dall'ex presidente dell'Anm non ci sia stato, mentre altrove si glissa ipotizzando che, radiato Palamara, la questione sia finita. Non manca però chi ammonisce a non illudersi che tutto, nella magistratura, sia tornato normale con la defenestrazione di Palamara.

Così, per esempio, a Napoli non si nasconde certo dietro a un dito il Procuratore generale, Luigi Riello, che parla chiaro e la mette giù durissima. «Mi sembra che larga parte della magistratura spiega nel suo intervento - si stia illudendo, in gran parte in buona fede, che, cacciato Palamara dalla Magistratura, dimessisi alcuni consiglieri del Csm, tutto sia ritornato normale». Insomma, secondo Riello, buona parte dei suoi colleghi riassumono la questione così: «Palamara è il diavolo, lui è il cancro, lo abbiamo estirpato, le nostre coscienze sono immacolate». Ma pur non chiedendo alcuna «indulgenza» per l'ex presidente Anm «se la sua colpevolezza sarà definitivamente accertata in sede disciplinare e penale», il pg di Napoli invita a prendere le mosse da questa «crisi che investe il tessuto connettivo valoriale della categoria» per «procedere a una presa di coscienza, finalmente seria, degli errori commessi da moltissimi, dell'acquiescenza prestata a pratiche note, talora condivise, talaltra tollerate con rassegnato silenzio». Insomma, in attesa di poter sentire Palamara parlare «alla Procura e al Csm dicendo tutto quello che c'è da dire», non basta a cavarsela «la condanna verbale», ma «occorre conclude Riello - una riforma del sistema elettorale del Csm, non per carità il sorteggio, la cabala»..

Il Sistema

Ma se per il pg partenopeo «nulla sarà uguale per la giustizia dopo l'altra pandemia, che si è abbattuta sulla magistratura e sul Csm e continua a seminare macerie», parole dure arrivano anche da Reggio Calabria. Per il presidente della Corte d'Appello Luciano Gerardis «solo il tempo potrà dire se sia stato colto il messaggio che il coinvolgimento dell'intero corpo magistratuale è essenziale per emendarsi da metodi purtroppo da gran tempo assai diffusi per un'innegabile degenerazione progressiva del sistema». Gerardis invita a una «piena autocritica da parte di tutti, senza pensare di poter scaricare le coscienze su condotte di singoli».

Da Milano Paola Braggion, componente del Csm, ha posto l'accento sulla «necessità di riavvicinare il Consiglio stesso» ai magistrati. Poco accomodante anche il consigliere del Csm Nino Di Matteo. Per l'ex pm antimafia i fatti emersi dall'inchiesta di Perugia «ci devono indignare ma non ci possono sorprendere», per non rischiare di «essere ipocriti», poiché «rappresentano una fotografia nitida di una patologia che rischia di minare l'intero sistema della magistratura». Una malattia, insomma, che non era appannaggio di Palamara ma che «silentemente ha insistito Di Matteo - si era diffusa come un cancro con la prevalenza delle logiche di clientelismo, appartenenza correntizia o di cordata, collateralismo con la politica».

«Un sistema malato ha concluso il consigliere Csm - che si è estrinsecato in scelte giudiziarie dettate più dalla opportunità che dalla doverosità dell'agire, un sistema che non esitava ad adoperarsi per isolare e neutralizzare i magistrati che non lo assecondavano».

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