Il governo Meloni attende (con cauto ottimismo) l'udienza della Corte di Appello di Milano del 15 gennaio prossimo, quando i giudici dovranno pronunciarsi sulla richiesta dei domiciliari avanzata dai legali di Mohammad Abedini Najafabadi, l'ingegnere iraniano rinchiuso nel carcere di Opera da metà dicembre e nei confronti del quale gli Usa hanno avviato l'iter per ottenere l'estradizione. È il passaggio chiave, forse decisivo, che l'esecutivo attende per dare una svolta alla trattativa con l'Iran per la liberazione della giornalista italiana Cecilia Sala, arrestata e rinchiusa nel carcere Evin dal 19 dicembre scorso.
Il destino di Sala e Abedini sono strettamente collegati. Il regime degli ayatollah usa l'arresto della giornalista italiana come arma di ricatto contro l'Italia per ottenere la scarcerazione dell'ingegnere iraniano. Nonostante ieri il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Esmail Baghaei abbia precisato che «l'arresto di Cecilia Sala per violazione delle leggi islamiche non ha nulla a che fare con l'arresto di Mohammad Abedini Najafabadi». È la partita diplomatica più delicata (e più importante) per l'esecutivo italiano. Una partita che si gioca su tre tavoli: politico, giuridico e diplomatico. Ma soprattutto sulla trattativa tra Iran e Italia pesa come un macigno il ruolo degli Usa. L'amministrazione di Washington vuole farsi consegnare dai giudici italiani Abedini. Il no dell'Italia verrebbe letto come uno schiaffo all'alleato storico: scenario da evitare.
Tre giorni fa, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni è volta Mar-a-Lago, il quartier generale in Florida del neoeletto presidente Donald Trump, incassando la sponda del futuro governo degli Stati Uniti su un punto: la richiesta di estradizione non sarà formalizzata a breve. Un risultato importante, perché consente al governo italiano tempo e margine di manovra, non illimitato, per imbastire una trattativa seria con l'Iran per la liberazione di Cecilia Sala. Va chiarito anche un altro punto: al momento la richiesta di estradizione non è stata formalizzata. Dagli Stati Uniti è stata consegnata all'Italia esclusivamente una lettera in cui si anticipa la richiesta di estradizione per Mohammad Abedini Najafabadi. Ecco che, allora, l'udienza del 15 gennaio diventa il passaggio decisivo che il governo Meloni attende per ottenere un primo risultato: i domiciliari per Cecilia Sala. Se i giudici di Milano decidessero per la concessione dei domiciliari dell'ingegnere iraniano, l'iter per l'estradizione negli Usa finirebbe su un binario morto. E soprattutto Meloni, durante la missione lampo a Mar-a-Lago, avrebbe strappato la promessa di Trump, che si insedierà il 20 gennaio, che la nuova amministrazione Usa non presserà l'alleato per ottenere la consegna dell'iraniano. A quel punto l'Italia potrebbe andare fino in fondo nella trattativa con l'Iran per lo scambio Sala- Abedini.
L'11 gennaio invece Meloni incontrerà a Roma il presidente uscente degli Stati Uniti Joe Biden, per chiudere il cerchio sull'operazione. Il governo sta giocando tutte le carte. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha convocato per giovedì a Roma una riunione del Quint sul Medio Oriente, con particolare riferimento alla situazione in Siria e Iran, alla quale sarà presente anche il segretario di Stato americano Antony Blinken. Il dossier Sala sarà sul tavolo.
Senza dimenticare i rapporti storici del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso con l'Iran: legame che potrebbe risultare importante per la vicenda Sala. Infine, si è tenuta ieri l'audizione al Copasir del sottosegretario Alfredo Mantovano. Due ore per fare il punto su tutto il dossier.
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