Cassese in campo per stroncare il Sistema. "Csm fallito, non sa come scegliere i giudici"

Il giurista evoca una "questione morale" che coinvolge la magistratura

Cassese in campo per stroncare il Sistema. "Csm fallito, non sa come scegliere i giudici"

È il decano dei giuristi italiani. E le sue parole, in tema di giustizia, sono sempre sassi lanciati a frantumare l'immobilità di uno stagno. Venerdì scorso in un editoriale sul Corriere della Sera ha chiesto a gran voce di dare corso all'istituzione di una Commissione parlamentare sul rapporto tra giustizia a e politica. E a chi sollevava il dubbio che fosse una «invasione» di campo da parte del potere politico su quello giudiziario, Cassese rispndeva puntando l'indice contro il Consiglio superiore della magistratura. «Se il Csm non affronta il problema è giusto che sia la politica a farlo». E ieri, in un'intervista al Riformista, il celebre studioso di Diritto pubblico, è tornato a criticare l'organo di autogoverno delle toghe. È lì che si consuma, spiega il giurista, il declino di questa istituzione che trova nella Costituzione la sua prima idea. Non siamo più ai tempi di Giolitti, fa notare, quando la presenza di toghe negli uffici del Guardasigilli era giustificata. Ora i magistrati comandati negli uffici del ministero della Giustizia rappresentano una contraddizione plastica del principio della divisione dei poteri. E la colpa non è solo della politica ma dello stesso organo di autogoverno delle toghe. «Ha fallito - dice - nel suo compito di supremo regolatore dei rapporti con la politica». Giudizio inappellabile spiegato poche righe dopo: «È stato inteso, da chi ne ha fatto parte, come un organo di autogoverno, mentre nella Costituzione è semplicemente concepito come uno scudo per assicurare l'indipendenza della magistratura». E la piega peggiore è che, come organo di autogoverno, «è diventato la brutta copia del Parlamento». Infine, ricorda Cassese, il Csm «è stato incapace di individuare i criteri di scelta dei magistrati, specialmente dei titolari degli organi direttivi e quindi non ha svolto la funzione positiva che doveva svolgere». «Che sia un organo fallito - aggiunge - mi pare a questo punto sotto gli occhi di tutti».

Sul malfunzionamento della giustizia nel nostro Paese, poi, il giurista divide a metà le responsabilità. Da un lato c'è sicuramente lo spirito del «dolce far poco» che anima parte delle toghe, ma dall'altro c'è una politica che adotta nei confronti del settore della giustizia una sorta di metodo malthussiano. In Italia oggi si conta, spiega Cassese, lo stesso numero di magistrati di quarant'anni fa. D'altronde il Paese in generale, come ha notato già in uno dei suoi ultimi libri Il buon governo (Mondadori), è animato da forti tensioni sociali e la domanda di giustizia è aumentata. E l'efficacia dell'azione della magistratura è anche nella tempestività delle sentenze. E come già spiegato nei giorni scorsi in più di un intervento, il giurista si appella ai suoi più illustri colleghi per formulare proposte di riforma da inserire del dossier giustizia presente nel Recovery Plan. Appello, per esempio, già raccolto da Antonio Baldassarre, ex presidente della Consulta: «Vanno prese misure drastiche. I tempi sono drammatici».

Nell'intervista, rilasciata al Riformista Cassese arriva a evocare la celebre «Questione morale» di berlingueriana memoria. I tempi insomma sono maturi. E il Recovery Plan, la presenza di Draghi e di una grande maggioranza, potrebbero rappresentare un'occasione irripetibile di svolta.

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