Il catenaccio a perdere degli anti Nazareno

Se chiedete a Fassina, Civati, Bindi o a Vendola un candidato per il Quirinale rispondono che nomi non ne fanno. Non serve (tanto non hanno i voti). L'importante è che non sia un "nazareno"

Il catenaccio a perdere degli anti Nazareno

L'arte del catenaccio non passa mai di moda. Soprattutto in politica. Se qualcuno prova a chiedere a Fassina, a Civati, alla Bindi o a Vendola un candidato per il Quirinale rispondono che nomi non ne fanno. Non serve (tanto non hanno i voti). L'importante è che non sia un «nazareno». È una strana malattia, questa, di ragionare sempre in negativo. È lo spirito dell'interditore di professione, quello che per dovere deve annullare l'avversario, cancellarlo, non farlo giocare. Un po' ricordano i mediani degli anni '60, quelli a cui gli allenatori dicevano: se va in bagno, seguilo. È anche un'ossessione. È vedere l'altro come il male da esorcizzare a tutti i costi. È l'abitudine a non scegliere, a non governare, preferendo il ruolo di oppositore assoluto. Il no arriva prima, a prescindere. Non sanno chi sarà il «nazareno», magari è l'uomo o la donna dei loro sogni, ma il solo fatto che passi da un patto Renzi-Berlusconi è un nome maledetto. È il metodo, ti diranno. Quello che piace a loro funziona così. Prima sempre contro Berlusconi. Ora sempre contro Berlusconi e Renzi. Dove è finita allora quella storia del presidente della Repubblica più o meno condiviso? Retorica. A quel punto è più onesto guardare in faccia la realtà: chi ha i voti, vince.

La sinistra s'incarta perfino quando i voti li ha, figuriamoci quando deve andare a cercarli. Di solito preferisce litigare tra correnti e antipatie, per poi giocare ai dieci piccoli indiani. Perché alla fine è questo il grande paradosso della sinistra catenacciara. Se spunta un leader, lo ammazzano. Se bussa un candidato, lo bruciano. Il primo che alza la testa, lo spuntano. È la dura legge di chi sta sempre contro.

L'utopia è raggiungere una perfetta mediocrità. Se qualcuno ha qualche talento viene incoraggiato ad abbassare la testa e camminare lungo i muri. Mimetizzarsi. È una forma di sopravvivenza. Qualche volta funziona. C'è chi sostiene che nella gara per il Quirinale la scelta più saggia sia nascondersi in uno sgabuzzino o dietro la tenda e aspettare che gli altri si facciano fuori a vicenda, e uscire solo quando la carneficina elettorale è finita. È la speranza di tanti non nazareni. Solo che non dipende da loro.

La partita per il Colle è in mano a Renzi e il patto con Berlusconi garantisce, al momento, il successo. Matteo sostiene che ha un nome su cui non si può non essere d'accordo. È, dovrebbe essere, la sua carta a sorpresa. Berlusconi si sta fidando e presenta il suo candidato di bandiera, quello che avrebbe scelto senza la necessità di mediare. È Antonio Martino e, tra parentesi, non è un «nazareno», appunto perché non fa parte del patto. È la scelta ideale, non di compromesso.

Grillo gioca alle sue «quirinarie» e aspetta di conoscere il candidato del Pd. Legittimo. Chi è invece il candidato dell'altro Pd? Non si sa. Non importa. Non serve. È un non presidente. Il «catenacciaro» non gioca. Si accontenta di distruggere.

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