Il Movimento Cinque Stelle ha presentato al Senato due proposte di legge sul fine vita e sulla liberalizzazione della cannabis. Non c'è da stupirsi, sono due battaglie in sintonia con l'anima maggioritaria M5s: semmai ci sarebbe da stupirsi, una volta di più, su come faccia la Lega a governare con un alleato che su temi così delicati la pensa in modo esattamente opposto al suo, ma ormai questo è un vecchio discorso. C'è però anche un altro vecchio discorso che varrebbe la pena di riprendere, ed è quello sull'uso strumentale che la politica fa di questioni che vanno nel profondo delle coscienze di tutti, e che dovrebbero essere trattate senza preoccuparsi degli interessi di bottega e delle beghe di partito.
Perché decidere quando sospendere le cure - ad esempio - a un nostro familiare, in quest'epoca in cui ormai la medicina può prolungare (e di molto) le cure, è cosa che prima a poi riguarderà molti, se non quasi tutti, di noi. E interrogarsi su fino a che punto abbiamo il potere di staccare una spina, è cosa che può togliere il sonno. E chiedersi se abbiamo il diritto di stabilire che cosa rende una vita degna di essere comunque vissuta, è cosa che trascende le stesse possibilità di comprensione dell'umano. La politica dovrebbe avere dunque l'umiltà di sottomettersi alla complessità dei problemi trattati, anzi di sottomettere alla complessità di questi temi i pregiudizi ideologici.
E invece accade regolarmente il contrario, accade cioè che sono questi temi, che chiamiamo «etici», a venire sottomessi alle esigenze ben più piccine dei governi, o peggio ancora dei partiti, o peggio ancora delle correnti. È sempre stato così. Nel 1974 Giorgio Almirante era a favore della legge sul divorzio (era divorziato lui stesso), ma si schierò contro il Msi perché il «No» al divorzio venne considerato una battaglia «di destra». E per paradosso tutt'altro che convinto a battersi per il «Sì» al divorzio era il Pci, un partito in cui perfino Togliatti aveva fatto fatica a far accettare la sua unione «illegittima» con la Iotti.
E così il divorzio - una questione che coinvolgeva tanti italiani, le loro coscienze, i loro figli - finì per diventare una sorta di guerra fredda interna all'Italia. E lo stesso avvenne per l'aborto: della «tutela della maternità», a dispetto del nome ipocritamente imposto alla legge, non fregava niente a nessuno, fregava solo chi vinceva tra Dc e sinistra. Anche se nel campo dei moderati c'era chi era favorevole alla legge e nel Pci c'erano molti contrari: alla fine, non si seguirono le coscienze, non si votò sul tema, ma per schieramento.
Ora la storia si ripete, perché l'urgenza di chi ha proposto queste due leggi su eutanasia e cannabis non è quella di legiferare ma di mettere in difficoltà l'alleato di governo, cioè la Lega, e di cercare un consenso trasversale con il Pd o con una parte del Pd. Ma lo stesso Grillo su questi temi ha dei dubbi, se è vero che - ad esempio - si disse contrario alla fecondazione assistita, al tempo del referendum. Mettere in difficoltà la Lega su eutanasia e cannabis non è neanche, infatti, interesse di tutto il Movimento, non lo è certo dei dimaiani, mentre lo è dei fichiani e forse anche dei dibattistiani, che sono un'altra cosa ancora.
E così il tema del fine vita e della droga è finita in queste mani e in queste teste, per dire.E se pensiamo che almeno prima l'etica divideva un Almirante e un Andreotti e un Togliatti e adesso divide i dimaiani, i fichiani e i dibattistiani, abbiamo la misura di dove siamo andati a finire.
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