Onorevole Antonio Tajani, ora tutti festeggiano il bis di Sergio Mattarella al Quirinale ma per gli elettori di centrodestra è sfumata un'occasione storica per eleggere finalmente un Capo dello Stato di questa area politica. C'erano i numeri per un'altra soluzione?
«Non c'erano altre possibilità e questo perché la sinistra ha bloccato tutti i candidati che avevamo proposto, con una decisione ostruzionistica che ha impedito anche la convergenza sulla seconda carica dello Stato».
Perché sulla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati il centrodestra non è stato compatto e, di fronte all'astensione annunciata da Pd-M5S-Iv, non ha rinunciato per non «bruciarla»?
«Sono scelte, noi contavamo di raccogliere consensi e non potevamo accettare i ricatti della sinistra, che ha detto fin dall'inizio che non l'avrebbe mai votata. Pensavamo che, di fronte alla candidatura istituzionale della seconda carica dello Stato, avrebbe lasciato libertà di coscienza ai grandi elettori. Non è stato invece così.
Per lei si è dimostrato che nessun politico di centrodestra poteva prendere il posto di Berlusconi. Perché il leader di Forza Italia ha rinunciato se era convinto di avere i voti?
«Ho detto che lui aveva più chance di tutti, ma la sinistra si è opposta con un no a prescindere. Se Berlusconi fosse andato al voto avrebbe vinto, ma ha deciso di non accettare la candidatura offertagli da tutto il centrodestra per non essere divisivo e poi ha cercato altri...».
Pd e M5S, oltre a porre veti sui vostri candidati, hanno proposto dei nomi, per ultimo quello di Elisabetta Belloni, sulla quale però non si è raggiunto un accordo anche per le loro divisioni interne.
«Hanno avanzato quattro-cinque candidature, anche altre donne come la Severino, ma noi di quella rosa potevamo votare solo un politico, non un tecnico e dunque Pierferdinando Casini».
La candidatura di Casini, che voi avreste sostenuto, per qualcuno sarebbe stato un segnale per un nuovo campo largo al centro lanciato da Matteo Renzi per una federazione con i totiani e altri. È così?
«Macché, qui si trattava dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica. È inutile interpretare tutto come un lanciare messaggi di altro genere. Semplicemente, come ho detto, dei nomi proposti dalla sinistra potevamo accettare solo quello di un politico e l'unico era Casini».
Col senno di poi, pensa che Matteo Salvini abbia fatto degli errori nel guidare le trattative del centrodestra per il Quirinale?
«Non devo essere io a giudicarlo. Sulla Belloni noi gli abbiamo detto che non potevamo votarla e spiegato quali erano i motivi, lo abbiamo informato prima, senza polemiche né strappi».
Fi nel momento della scelta finale comunque ha sfiduciato Salvini e ha deciso di trattare da sola direttamente con gli altri partiti: come si è arrivati a questo?
«Non l'abbiamo sfiduciato, abbiamo ribadito che non avevamo nessuna obiezione sulla Belloni in particolare, ma non avremmo sostenuto nessun tecnico per il Colle, visto che c'era già Draghi a Palazzo Chigi. Poi Berlusconi ha sbloccato la situazione, abbiamo chiesto un vertice di maggioranza, ne abbiamo fatti due e si è trovata la soluzione. Noi non abbiamo mai posto veti, a differenza della sinistra, ma siamo stati coerenti con quello che abbiamo sempre detto: senza un accordo l'unica soluzione era Mattarella».
Ora la leader di Fdi Giorgia Meloni, che Mattarella non l'ha votato, dice che il centrodestra non c'è più. È da rifondare e come cambieranno gli equilibri?
«Tutto questo si valuterà, noi siamo convinti che più importante dell'inseguire i sondaggi sia mettersi al lavoro per dare stabilità al Paese e per offrire delle soluzioni concrete ai problemi degli italiani. Basta polemiche, quindi, rimbocchiamoci le maniche e occupiamoci di questo».
I piccoli partiti premono per una riforma elettorale in senso proporzionale e Coraggio Italia, che fa parte del centrodestra, non ha voluto sottoscrivere l'impegno di Lega-Fdi e Fi per mantenere il sistema maggioritario.
«Noi siamo schierati per il maggioritario e contro il ritorno al proporzionale, ma credo che la riforma elettorale in un momento delicato come questo, non sia una priorità per gli italiani. Pensiamo, piuttosto, alla pandemia, alla nostra economia, alla realizzazione dei progetti del Recovery fund, alle infrastrutture necessarie, comprese quelle digitali...».
Mario Draghi resta a palazzo Chigi, ma come esce il governo da questa elezione?
«Ne esce certamente rinforzato, perché c'è stato l'accordo tra tutte le forze di maggioranza sull'elezione di Mattarella per un secondo mandato alla presidenza della Repubblica. È importante che ora il governo acceleri il suo lavoro e non si perda in troppi balletti interni. Abbiamo di fronte a noi un anno e dobbiamo impiegarlo nel migliore dei modi».
La Lega chiede una nuova
fase e domani Salvini e Giancarlo Giorgetti vogliono incontrare il premier. Come interpretate questa mossa?«Noi siamo Fi e la Lega fa le sue scelte. La coalizione non è un monolite e ogni forza mantiene la sua identità».
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