Cecilia Sala è stata arrestata «per aver violato la legge della Repubblica islamica». La notizia proviene dai media di Stato di Teheran dopo undici giorni di attesa sulle motivazioni che hanno spinto le autorità del Paese a fermare la giornalista italiana.
La comunicazione è arrivata non a caso dal dipartimento generale dei media esteri del ministero della cultura e dell'orientamento islamico iraniano. «La vicenda è sotto inchiesta - continua la nota -. L'arresto è stato eseguito secondo la normativa vigente e l'ambasciata italiana è stata informata. Le è stato garantito l'accesso consolare ed il contatto telefonico con la famiglia».
La teocrazia iraniana aveva inizialmente indicato presunti «comportamenti illegali» come causa dell'arresto. Certo è che «violare le regole delle leggi islamiche» resta un'accusa aperta ad ogni interpretazione. L'ambasciatrice Paola Amadei domenica ha incontrato il viceministro degli Esteri iraniano Vahid Jalazadeh, il quale le ha detto che ancora non è stato formulato con certezza il capo di imputazione e ha lasciato intendere però che Sala è stata fermata nell'ottica di ottenere la liberazione di Mohammad Abedini Najafabadi, l'ingegnere iraniano esperto di droni e detenuto in Italia dal 16 dicembre. L'arresto di Sala inoltre sarebbe una sorta di cattura preventiva, senza prove dei «comportamenti illegali» addotti al momento del fermo. Solo dopo infatti è iniziata la ricerca di motivazioni per trattenerla a Evin.
Un pretesto potrebbe essere un video in cui Sala era apparsa senza velo, poi sparito dai suoi social, mentre raccontava della vita a Teheran e delle iraniane senza hijab che ha incontrato per le strade. Non indossare il velo è ritenuto «fuori legge» secondo la lettura sciita della legge islamica, la sharia. Chiunque osi violare l'uso obbligatorio dell'hijab potrebbe essere accusata di «fare guerra contro Dio» o addirittura di «incitamento alla prostituzione». La pista più accreditata però, finora, è quella che conduce all'arresto a Milano - su richiesta degli Usa - tre giorni prima rispetto a quello di Sala, appunto di Abedini, accusato da Washington di aver esportato illegalmente in Iran tecnologie americane utilizzate per droni militari, aiutando così l'aeronautica dei Pasdaran, che figurano nella lista statunitense delle organizzazioni terroristiche. Abidini è ora rinchiuso nel carcere di Opera. La palla dunque potrebbe passare al ministero della Giustizia italiano, che avrebbe l'ultima parola sull'estradizione. La negoziazione sembra molto complicata perché gli Stati Uniti reclamano il detenuto iraniano sul loro territorio. Per la soluzione potrebbero volerci fino a sessanta giorni di tempo.
Il legale di Abedini intanto avrebbe chiesto gli arresti domiciliari cosa che renderebbe la questione ancor più delicata visto il precedente del presunto trafficante d'armi russo Arthem Uss. Nel marzo 2023, l'uomo riuscì a scappare dalla casa in cui si trovava bloccato da un braccialetto elettronico, mentre pendeva su lui una richiesta di estradizione degli Usa. Quanto accaduto allora ha creato un incidente diplomatico a seguito del quale il ministero della Giustizia guidato da Carlo Nordio, ha messo sotto procedimento disciplinare i giudici della corte d'Appello di Milano, poi assolti dal Csm. Detto, fatto.
Dall'amministrazione americana, principale alleato dell'Italia nello scacchiere internazionale, è già arrivato l'allarme «pericolo di fuga» per Abedini. Al momento dunque sembra difficile stabilire i tempi che serviranno per ottenere la liberazione della giornalista.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.