L'opposizione compatta continua a credere che il governo possa cadere e che andare a votare a breve sia una strada possibile. «C'è la pandemia ma meglio le elezioni dell'immobilismo» dice il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ai suoi. Il centrodestra va all'incontro chiesto a Sergio Mattarella nel tardo pomeriggio. La linea del voto è ribadita dal segretario della Lega e aspirante leader del centrodestra Matteo Salvini, poco prima di entrare al Quirinale in auto, dall'ingresso secondario, con la presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, e il vicepresidente di Forza Italia, Antonio Tajani. La richiesta a Mattarella sono le dimissioni del presidente del consiglio, Giuseppe Conte, e il suggerimento neanche tanto implicito è lo scioglimento delle Camere.
La nota finale, dopo un incontro durato un'ora e dieci in cui Mattarella è rimasto sostanzialmente ad ascoltare, e dopo il quale non ha rilasciato commenti, è più morbida perché non è presente la parola «voto», nel rispetto delle prerogative del capo dello Stato. Si ribadisce la «fiducia nella saggezza» del presidente della Repubblica. I tre leader politici in coro dicono che «è convinzione del centrodestra che con questo Parlamento sia impossibile lavorare» e che il voto di fiducia di martedì scorso al Senato, ha «certificato l'inconsistenza della maggioranza». L'attacco non è solo al governo, ma anche al Parlamento e Meloni, dopo l'incontro, dice a muso duro che le Camere non possono offrire «una maggioranza compatta per fare le cose coraggiose che servono». Ovviamente, la valutazione finale se questa maggioranza esista o no tocca al capo dello Stato.
Più morbido e istituzionale Tajani, che limita le sue valutazioni all'attuale maggioranza, dicendo che «Conte non ha i numeri per governare» e insiste piuttosto sulla «preoccupazione per la grave crisi economica, sanitaria e occupazionale dell'Italia».
Se prima dell'incontro Salvini si concede una passeggiata con la fidanzata, Francesca Verdini, sul Colle ribadisce che «non si può continuare ad assistere alla compravendita dei senatori», e alla fine va quasi al braccio della Meloni. Cammina per i corridoi del Quirinale con la leader di Fdi, tutti e tre molto seri, Tajani leggermente distante, quasi a dire con il corpo che Forza Italia non ama toni ultimativi e contrapposizioni spigolose.
La situazione è ovviamente più complessa di quanto riporti il succinto comunicato, anche per l'affaire Cesa, segretario dell'Udc indagato proprio ieri e fino a mercoledì scorso puntello del centrodestra allargato nelle riunioni con le altre formazioni centriste Cambiamo! di Giovanni Toti e Noi con l'Italia di Maurizio Lupi. Le tre forze più piccole ieri non erano al Quirinale.
Lupi, politico cattolico di lungo corso e nuovo possibile pivot dei centristi contrari al governo, non si smuove: «Le elezioni non sono un dramma. Dopo due anni e mezzo di Parlamento, se il Parlamento non funziona, e se non c'è un governo in grado di dare soluzioni, si dà la parola agli elettori. Anche in emergenza Covid». Se cadesse il governo Conte, è il ragionamento, anche nella maggioranza potrebbe allargarsi il fronte del voto.
Al contrario, Giovanni Toti di Cambiamo! con i suoi tre senatori è convinto che opporre un secco «al voto» in un momento in cui si lavora a un gruppo di «volenterosi» contiani come Bruno Tabacci, potrebbe mettere il centrodestra in una condizione di marginalità nei rapporti col Colle, sul Recovery Fund e sulla legge elettorale. Posizione condivisa dai dialoganti di Forza Italia e dai «giorgettiani» della Lega.
Toti esprime dubbi: «La linea del solo voto mi sembra politicamente un po' rozza. Io prenderei in considerazione un governo di unità nazionale o del Colle. Dovrebbe essere anzitutto l'opzione di Salvini». Ma nel centrodestra per ora prevale un'altra strada.
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