C'era una volta il totem del Primo Maggio

Secondo uno studio della Cgia di Mestre, circa 5 milioni di italiani oggi lavorano come sempre

C'era una volta il totem del Primo Maggio

C'era una volta il Primo Maggio. Ogni attività era sospesa e l'intera società festeggiava il lavoro, quale strumento di elevazione. Era anche una festa di «classe», dal momento che quando ci si riferiva ai lavoratori non si pensava certo ai geometri o ai medici, ma invece a quella classe operaia che era al cuore di una battaglia volta al riscatto sociale. La festa era una sospensione dalla fatica delle officine, certo, ma era anche una vera e propria celebrazione.

Ora quel Primo Maggio non c'è più. Secondo uno studio della Cgia di Mestre, circa 5 milioni di italiani oggi lavorano come sempre. Molti nel commercio e nella ristorazione, ma anche nella sanità, nella pubblica amministrazione, nei trasporti e in altri settori. Un numero mai stato così alto. Tutto è davvero cambiato. La grande fabbrica ha perso la sua centralità. E se un'azienda che produce acciaio o autovetture può anche sospendere la propria produzione per un'intera giornata senza troppe conseguenze, lo stesso non si può dire per una casa di cura per anziani o una caserma di polizia incaricata di garantire la sicurezza. Per giunta, dobbiamo prendere atto che è ormai venuta meno la «sacralità» di questa festa laica, le cui origini risalgono alla fine dell'Ottocento, quando la Seconda Internazionale (che riuniva i movimenti socialisti) volle ricordare la rivolta di Haymarket, vicino a Chicago, del 1886. Quello è il mondo che ha generato una simile festività, a partire da una visione del lavoratore come «homo faber»: un produttore sfruttato dal sistema capitalistico, ma che può liberarsi grazie al socialismo. Tanta acqua è passata sotto i ponti e ormai viviamo in una società post-marxista, incapace di vedere in ogni persona un soggetto che si realizza primariamente nella produzione.

Il lavoro era importante e lo è ancora oggi: e soprattutto è cruciale creare un quadro di regole che permetta a chi non ce l'ha di trovarlo. Il lavoro non va però assolutizzato sulla base di una visione materialista che nega l'uomo in ciò che ha di più prezioso.

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