Il giorno dopo l'autogol segnato da Cervinia alla partenza dell'intera stagione sciistica, il fischietto del signor Conte da palazzo Chigi ha decretato l'immediata chiusura degli impianti, dopo due sole giornate di sci. Se ne riparlerà dal 24 novembre, quando la vera stagione invernale sarà (o dovrebbe essere) al via su tutto l'arco alpino. Per ora sciare sarà permesso solo ad atleti e sci club e, più mistericamente concesso, dalle righe del decreto, agli appassionati nelle località che si saranno messe in regola. Una beffa, considerato che, in Italia al momento, erano solo Cervinia e val Senales ad essere aperte e che regole omogenee ancora non ci sono, se non in una bozza, nemmeno condivisa da tutte le Regioni, depositata al Comitato tecnico scientifico e nei palazzi di Roma da oltre due settimane. Un danno: far girare un impianto solo per gli atleti avrebbe costi insostenibili. Risultato? Siamo cascati nel baratro di marzo con l'immeritata etichetta di sci alpino uguale untore. Di chi è la colpa? Non solo degli irriducibili dello sci, ma anche di poco coordinamento fra gli impiantisti. Così la coda di Cervina, invece, che diventare occasione di confronto, finisce in scontro. Già ieri sotto la Gran Becca gli altri 2mila sciatori hanno trovato campo più fluido, risolto il collo di bottiglia alle biglietterie: «Anche l'afflusso - spiega il vicepresidente regionale Luigi Bertschy - è stato rimodulato per gruppi», come alle maratone. La val d'Aosta fa penitenza: maglia nera per contagi, speriamo fra due settimane non debba imputare ai «forestieri» di aver portato altro virus in valle. Ora però servono regole rapide, partendo dall'idea che gli impianti di risalita e non «da sci» sono equiparabili al trasporto pubblico: una coda alla funivia vale quella di un metrò. Agendo in autonomia, molti esercenti hanno pensato alla teoria, vergando decaloghi su vendite on line, consegna dei ticket in albergo, oltre a corpose, apprezzabili, politiche di rimborso per gli stagionali, in caso di lockdown. Tutto molto interessante. Ma la pratica non può, in concreto, essere quella della febbre rilevata a mano ai varchi delle biglietterie. Meglio i termoscanner «che però mal reagiscono al freddo», obiettano da Anef la «Confindustria» degli esercenti, firmataria delle regole in attesa di validazione. Secondo molti, però, non sarebbero sufficienti: a serpeggiare da più parti è la richiesta di un accesso a numero chiuso con prenotazione on line.
Mentre incombe per tutti una priorità: che nevichi o meno, le principali località calendarizzano l'innevamento tecnico delle piste da inizio novembre, con costi altissimi (24 milioni solo in Alto Adige). Se poi Giuseppi fischiasse cartellino rosso, sarebbe un'apocalisse.
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