C'è una classe che è dimenticata, non ha rappresentanza, non ha difese, è tartassata per non dire perseguitata: il ceto medio. In Italia si parla di salario minimo, di reddito di cittadinanza che, cancellato dal governo, nei suoi emendamenti alla legge di bilancio la Cgil vorrebbe reintrodurre in maniera surrettizia. O, altrimenti, si fanno leggi che hanno trasformato l'Italia nel bengodi dei ricchi che vengono o tornano dall'estero: qualunque siano i loro introiti o i loro patrimoni se risiedono in Italia pagano al massimo centomila euro di tasse, tutto compreso.
Chi sta in mezzo tra la ricchezza smodata e la povertà, invece, è sempre sul patibolo. Viene considerato un benestante anche se i parametri fissati danno l'idea che chi li ha predisposti viva fuori dalla realtà: la soglia del benessere, infatti, sono i 50mila euro di reddito lordo annuo, cioè oltre quel tetto si perdono tutte le agevolazioni e le detrazioni fiscali. Solo che con l'aliquota fiscale al 35% si parla, di fatto, di stipendi da 2.500 euro al mese (parliamo di un single) compresa la tredicesima. Ora basta guardare al carovita delle grandi città, ai costi degli affitti, all'inflazione, ai servizi di qualsiasi professionista (una parcella di avvocato equivale a quattro mensilità di salari di questo tipo) o, per fare un esempio profano, all'incidenza delle multe stradali su simili retribuzioni, per capire che queste persone non vivono nell'agiatezza. Anzi a cominciare dai pensionati, che pur rappresentando buona parte della loro base non sono certo al primo posto nei pensieri dei sindacati, per finire ai dipendenti pubblici, tutti questi mondi che rappresentano il ceto medio scendono anno dopo anno i gradini della scala sociale. La piccola e media borghesia, in sintesi, non è più borghesia.
Di più se si vanno a vedere le statistiche pubblicate su Itinerari Previdenziali si scopre che il 62,5% dell'Irpef è pagato dal 13,9% dei contribuenti e in buona parte sono quest'area di cittadini che non ha né rappresentanza, né difesa. «Nessuno li difende - osserva Carlo Cottarelli - a sinistra come a destra». Inoltre la loro condizione è la prova come nel nostro lavoro il fisco pesi, soprattutto, sul lavoro e non sulle rendite, specie su quel lavoro dipendente che è tassato all'origine. A questo mondo lo sciopero generale dei sindacati vende sogni. Pezzi di luna. Nelle 51 pagine di emendamenti presentati dalla Cgil sulla legge di bilancio si fanno spese per 87 miliardi in più a cui si fa fronte con 73 miliardi recuperati dall'evasione ma non si spiega come. O meglio - per dire l'accuratezza che si dimostra in questi documenti - si fa fronte, ad esempio, alle spese per i controlli per l'emergenza Covid (ma c'è ancora l'emergenza Covid?) con le sanzioni per il codice della strada. Un copia e incolla degli emendamenti degli scorsi anni.
Insomma, a sinistra solo banalità. Sull'altro versante il centro-destra dovrebbe riflettere di più su un dato: su 100 italiani metà pensano che la prima riforma da fare, la vera emergenza, sia quella fiscale. Gli altri si dividono su tutte le altre. E in quel 50% di popolazione c'è tutto il ceto medio, che vede ridursi nel tempo il suo potere d'acquisto e assottigliarsi i risparmi. A quel pezzo d'Italia che tiene in piedi il Paese dal punto di vista delle entrate e si sente perseguitata, devi dare una rappresentanza e delle risposte. Anche perché a differenza delle classi più deboli che continuano ad avere aiuti, detrazioni fiscali, interventi sociali.
O a chi vive di rendita: la cedolare secca negli affitti, ad esempio, prevede una tassa del 10% sui contratti, i pensionati per averla uguale debbono trasferirsi in Portogallo. Ebbene, a differenza dei «protetti», la classe media è sola, è orfana. Da troppo tempo la politica l'ha lasciata in balia di se stessa.
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