La Cgil tirerà la volata al partito di Bersani. Anche Salvini già pronto a dichiarare guerra

«Passeremo in piazza Natale ed Epifania, li terremo chiusi in Parlamento»

La Cgil tirerà la volata al partito di Bersani. Anche Salvini già pronto a dichiarare guerra

Roma - Esiste un'evidente sottovalutazione della situazione, dice Bersani. Ed è chiaro che, parlando di Renzi e del suo Pd, il governo non è escluso. In primis sul problema delle pensioni: tema, tra i tanti, davvero capace di far breccia e incidere nel profondo dell'elettorato italiano. Silvio Berlusconi l'ha capito benissimo, ma anche sul versante di sinistra quello delle pensioni si dimostra uno spartiacque sul quale si gioca molto della partita concreta delle alleanze (post-voto, a questo punto). Questo è il terreno sul quale Renzi e Gentiloni hanno perduto in maniera più palese il contatto con il sentire profondo dei cittadini. Al punto da non capire neppure che la posizione della Cgil, che minaccia lo sciopero distanziandosi dagli altri sindacati trattativisti, creerà altri solchi assai difficili da colmare. Si tratta di quel «pezzo di popolo che se n'è andato» di cui parla Bersani, e che sembra ormai impossibile riconquistare, per il Pd. Ha voglia la leader della Cgil, Susanna Camusso, a dire che il suo sindacato fa solo «politica sociale» e dunque non esiste «alcuna cinghia di trasmissione» con il (nuovo) partito di riferimento che è Mdp. La «cinghia di trasmissione», per chi ha orecchie per intendere, sta nei fatti; nel sostegno che Mdp darà alla battaglia, sul presupposto, ripetuto ancora da Bersani, che «il Pd non deve convincere me, ma i lavoratori».

Però la novità ancora più profonda, in grado di scompaginare ulteriormente l'antico fronte composto da sinistra e sindacati, è l'ingresso anche dei grillini e della Lega nella questione pensionistica, con un obbiettivo facile da perseguire: l'abbattimento della legge Fornero. È da anni che tanto M5S che i leghisti perseguono l'obbiettivo, ormai diventato per famiglie e lavoratori il simbolo odioso dell'austerità imposta dal peggior governo della storia recente. «Una legge infame - ripeteva pochi giorni fa il leader leghista Salvini -. Alzare ulteriormente l'età pensionabile è una scelta infame, quindi io con Berlusconi sto lavorando su questo... Sarò razzista, fascista, populista, però voglio un'Italia che mandi in pensione la gente quando merita». Ieri Salvini s'è confermato pronto «a vendere cara la pelle» su due temi di forte impatto propagandistico. «Sappia il governo - e passeremo in piazza Natale ed Epifania - che se pensano di approvare lo ius soli e alzare l'età pensionabile, la Lega farà la guerra. Si scordino di usare gli italiani come cavie umane per nuovi modelli pensionistici. È una follia andare in pensione a 67 anni e introdurre lo ius soli. Se Pd e governo insistono, riempiremo le strade di Roma e li terremo chiusi in Parlamento, la pazienza è finita».

I due temi, cosa che a sinistra si fa fatica ad accettare e superare, sono meno slegati di quanto possa apparire.

Perché è inevitabile immaginare che una cittadinanza più facile per gli immigrati corrisponda a ripercussioni sul mercato del lavoro, sia sul fronte della retribuzione che dei diritti. Se a questo si aggiunge lo spauracchio di una pensione che diventa miraggio, è chiaro che sarà su questa nuova frontiera - imposta dai tempi - che una forza politica seria deve impegnarsi e dimostrarsi più capace.

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