Dalla Chiesa su Andreotti. "Non lascio Forza Italia ma la verità mi sfugge"

Per gli azzurri solo illazioni sul suo "malessere". Lei: "Incontrerei il figlio"

Dalla Chiesa su Andreotti. "Non lascio Forza Italia ma la verità mi sfugge"
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«Nessun isolamento, nessun malessere dentro Forza Italia se non quello dovuto a una polmonite bilaterale che mi trascino da tre mesi ». Rita Dalla Chiesa non lascia gli azzurri, respingendo al mittente le voci circolate a Roma e riprese da qualche quotidiano a causa di una presunta «mancata solidarietà» espressa dal partito dopo l'intemerata televisiva di qualche giorno fa a Tango su Raidue nella quale, senza nominarlo («potrebbe essere passato il tempo, però c'è una famiglia di questo politico e io evito di parlarne»), ha adombrato la possibilità che Giulio Andreotti fosse il mandante dell'omicidio di suo padre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso a Palermo il 3 settembre del 1983. « È vero, ha espresso un certo disagio per la vicenda che l'ha colpita », conferma un deputato azzurro di primo piano, ma da qui a lasciare il movimento che l'ha candidata ce ne corre eccome. «Adesso non le posso rispondere, ma ho trovato molto scorretto il titolo di ieri su un altro quotidiano », ci scrive la parlamentare, oggi impegnata sul delicatissimo capitolo Rai, come ci ricorda Pietro Pittalis: «Abbandonare Forza Italia? Lo escludo, non mi risulta. Anzi, domani viene a votare in commissione di Vigilanza Rai». Certissimo anche il senatore Dario Damiani di Forza Italia: «L'ho letto sulla stampa ma mi sembra cosa molto improbabile e impossibile».

A ipotizzare uno strappo era stato Luigi Bisignani sul Tempo, che ha citato una frase che avrebbe scritto nella chat degli eletti azzurri: «Non sono solo una parlamentare, ma sono anche la figlia di un uomo che è entrato nella storia di Italia». Secondo i maligni, alla richiesta di una qualche solidarietà la Dalla Chiesa avrebbe ricevuto solo odio, come se la sua legittima richiesta di verità fosse una gaffe.

Nella sterminata letteratura dei rapporti tra l'ex presidente del Consiglio e il generale che sconfisse le Brigate Rosse ci sono tonnellate di documenti da rileggere con gli occhiali dell'oggi e che pure lasciano margini a interpretazioni ambigue. Certo, c'è l'appunto del 29 ottobre 1982 quando il Divino Giulio scriveva: «Il compianto generale Dalla Chiesa sapeva bene che fummo noi ad appoggiarlo nella sua generosa crociata contro i brigatisti e resistemmo a chi voleva bloccarla distruggendo la rete da lui organizzata e chiudendo le carceri di maggior sicurezza. Non è lecito falsificare la storia dell'Italia repubblicana». Ma ci sono frasi come quella che Andreotti avrebbe detto a Dalla Chiesa, «chi tocca la mia corrente siciliana è sempre tornato in una bara», o la battuta «Preferisco andare ai battesimi che ai funerali». «Sono cose che io e i miei fratelli andiamo dicendo da quarantadue anni, da quando è morto papà. Lo abbiamo sempre detto: l'omicidio di mio padre è stato un omicidio politico».

L'incontro annunciato da Rita Dalla Chiesa a Cartabianca su Retequattro servirà a riappacificarsi con la famiglia: «Vorrei incontrare Stefano, parlare dei nostri genitori, perché niente deve ricadere sui figli. Ma ancora oggi sono devastata per una verità che mi sfugge, che scappa. Nessuno ci ha detto veramente cos'è successo, perciò noi ci siamo aggrappati a tutto quello che abbiamo trovato».

Altro che gaffe, il problema è l'elaborazione di un lutto figlio di una giustizia che non è (ancora) riuscita a ricostruire una storia condivisa, alimentando con illazioni, mezze verità e fango i protagonisti istituzionali della guerra a Cosa nostra. Le famiglie di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino lo sanno fin troppo bene.

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