Bussate e vi sarà aperto. E chissà, magari se bussate alla porta di un appartamento monegasco, vi si potrebbero aprire le porte del Tg1, a Saxa Rubra. È successo a Gian Marco Chiocci, prototipo del cronista d'assalto ben prima di vestire i panni da direttore. Per quasi 20 anni inviato di punta di questo quotidiano e tra gli ultimi segugi «vecchia scuola», con le suole delle scarpe consumate quanto le gomme del suo scooter e la vista messa a dura prova dalle paginate di atti giudiziari quando erano ancora cartacee, quelle pagine lette una dopo l'altra in cerca della notizia, ossia quella che gli altri domani non avranno.
Anche quel giorno a Montecarlo è andata così: la soffiata arrivata al Giornale sosteneva che Giancarlo Tulliani, «cognato» dell'allora presidente della Camera, Gianfranco Fini, abitava in una casa a Monaco che An aveva ricevuto in eredità. Era il 27 luglio 2010, Gian Marco era appena ri-diventato padre, ma la mattina dopo eccolo lì nel Principato, davanti al civico 14 di Boulevard Charlotte per suonare a casa Tulliani, farsi sbattere il citofono in faccia dal cognato e dare il via all'inchiesta che avrebbe segnato la fine politica di Fini, tutto nei pochi minuti tra il suo arrivo sul posto e la sua cacciata dalla città-Stato a opera della gendarmeria monegasca, allertata dal giovane Tulliani.
Come se questo potesse cambiare qualcosa. Chiocci non è mai stato uno da fermare con la gendarmeria. Piuttosto che fermarsi, cambia strada, non obiettivo. Per Telekom Serbia, quando le accuse di Igor Marini a Prodi, Dini e Fassino si sgonfiarono, lui mise sul tavolo letteralmente un trolley con gli atti giudiziari dell'inchiesta torinese su quella discussa acquisizione, costringendo chi scrive e Dunja, interprete serba, a chiudersi per settimane in una casa con lui lontana da occhi indiscreti per spulciarli tutti, fino a trovare le dichiarazioni contraddittorie di chi pur non corrotto - aveva certamente mentito sull'acquisizione di quella compagnia telefonica poi bombardata a stretto giro di posta. Il Chiocci inviato e il Chiocci direttore (nel 2013 la prima esperienza al comando del Tempo - dove per anni aveva lavorato il padre, Francobaldo, e dove lui stesso aveva iniziato a occuparsi di giudiziaria - per poi passare nel 2018 all'Adnkronos) hanno in comune la determinazione, la ferrea volontà di non mollare l'osso e un amore per il proprio lavoro talmente assoluto da chiedersi come il neo-direttore del Tg1 abbia trovato il tempo di mettere su famiglia. Ma in fondo si potrebbe dire lo stesso della sua talentuosa metà, Alessandra Frigo, storica autrice delle Iene e ora nella squadra di Piazzapulita, su La7.
Memorabile anche il suo garantismo, certe volte talmente vistoso che in redazione si scommetteva, a ogni efferato delitto, sulla posizione innocentista di Gian Marco al riguardo. In realtà è solo un'altra faccia della sua curiosità, del suo non volersi accontentare delle versioni ufficiali, del volere approfondire sempre e comunque. Orgoglioso di essere stato il cronista più indagato e più perquisito d'Italia, Chiocci ha sempre riso di accuse e insinuazioni che gli sono piovute addosso, spesso anche da colleghi, anche perché come appunto per l'affaire monegasco il tempo è stato galantuomo, dimostrando che la «macchina del fango» non la guidava Gian Marco, ma semmai i detrattori di quella inchiesta. Col suo caratterino è fatale che Chiocci qualche nemico se lo sia fatto, ma va detto che gli amici sanno bene quanto vale.
Qui al Giornale molti lo ricordano, a fine giornata, seduto a ritagliare i quotidiani per tenere aggiornato il suo monumentale archivio: rigorosamente cartaceo, tanto antistorico quanto universalmente invidiato. Luca Telese lo saccheggiò segretamente per scrivere il suo «Cuori neri». Scampò alle conseguenze facendo leva sulla vanità chioccesca, concedendogli un posto d'onore tra i ringraziamenti.
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