Scusate, abbiamo scherzato. La procura di Catania ha chiuso il fascicolo su Matteo Salvini chiedendo l'archiviazione: il ministro dell'Interno era accusato di sequestro di persona per aver impedito che la nave Diciotti sbarcasse il suo carico di migranti sul suolo italiano. Anche i magistrati siciliani si sono resi conto di ciò che al resto d'Italia era evidente fin dall'inizio: che le accuse non stavano in piedi. Da agosto a novembre, questa inchiesta ha girato le procure di mezza Sicilia, da Agrigento a Palermo e infine Catania; è costata una cifra ancora imprecisata, ha sollevato clamore, ha creato sospetti senza fondamento sull'operato del Viminale: tre mesi assurdi e incomprensibili.
Il comportamento di Salvini non era un reato ma una sfida politica. Era lampante fin dall'inizio. Ora è evidente anche alle toghe. Carmelo Zuccaro, procuratore di Catania, scrive nella richiesta motivata di archiviazione che si trattava di «una scelta politica non sindacabile dal giudice penale». Altro che sequestro di persona. D'altra parte, se l'ipotesi di un reato così grave avesse avuto un minimo di fondamento, Salvini doveva essere sbattuto in carcere come Marc Dutroux o Grazianeddu Mesina.
Invece le cose stanno diversamente e il capo della procura etnea lo spiega con linearità. Il ritardo nel fare scendere i 177 migranti dalla Diciotti ormeggiata a Catania dal 20 al 25 agosto «è giustificato dalla scelta politica, non sindacabile dal giudice penale per il principio della separazione dei poteri, di chiedere in sede europea la distribuzione dei migranti in un caso in cui secondo la convenzione Sar internazionale sarebbe toccato a Malta indicare il porto sicuro».
Il caso era stato aperto dal pm di Agrigento Luigi Patronaggio, che si era fatto portare a bordo del pattugliatore Diciotti per un'ispezione con mascherina, guanti e calzari usa e getta. «Questa non è certo una nave da crociera», aveva commentato tornato a terra: e anche questa era una verità scontata. Ora la richiesta motivata di archiviazione verrà esaminata dal Tribunale dei ministri di Catania. Il collegio ha altri tre mesi per decidere se accoglierla o smentire clamorosamente il procuratore siciliano, e anche il buonsenso.
Salvini ha avuto buon gioco a ostentare disinvoltura e superiorità. Come aveva fatto quando gli era arrivato l'avviso di garanzia, il ministro dell'Interno ha acceso di buon mattino il computer nel suo studio al Viminale, ha avviato una diretta su Facebook e per quasi mezz'ora ha arringato i fedelissimi sul web, in maglietta nera a maniche corte con stemma tricolore, sventolando la grossa busta gialla intestata alla procura distrettuale della Repubblica di Catania. «Ero sicuro di aver difeso l'interesse del mio Paese e di non aver commesso nessun reato ha detto il leader leghista - Spero che sarà accolta la richiesta motivata di archiviazione del procuratore Zuccaro. Ma mi pongo la domanda: chi ha indagato, che cosa ha indagato? Il procuratore di Agrigento Patronaggio perché ha indagato? Quanto è costata questa inchiesta? Quante persone ha coinvolto? Quanti uomini delle forze dell'ordine sono stati allertati per un reato che non esisteva? C'è da fare una riflessione su come funziona la giustizia in Italia».
Ridicolizzati «i gufi dei centri sociali, che saranno abbacchiati. Pare che il ministro dell'Interno non sia un delinquente, pare sia assolto dal reato di sequestro aggravato e continuato di persona.
Dai, sono innocente», ha aggiunto con il suo sorriso beffardo. E ha chiuso: «Adesso prendo il caffè, infilo la giacca, spengo la tele, e da persona libera e non più indagata torno al mio lavoro. Grazie, grazie, grazie».
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