Cina, esplode petroliera: "Contiene combustibile più dannoso del greggio"

L'imbarcazione iraniana si era scontrata il 6 gennaio. «Impossibile limitare i danni»

Cina, esplode petroliera: "Contiene combustibile più dannoso del greggio"

Disastro nel Pacifico. Ma i missili di Kim Jong-un (che come «disastro ambientale» poteva bastare, a quelle latitudini) stavolta non c'entrano. Qui oggi ci occupiamo dell'ennesima tragedia del mare e dei suoi abitanti per mano dell'uomo. Tragedia involontaria, certo, perché a nessun marinaio piace andare a fondo con la sua nave, soprattutto se prima di andare a fondo ci va arrosto. Ma per i pesci, e per l'ecosistema marino, già impiombato dalla plastica e dai metalli pesanti fabbricati dall'uomo, non fa differenza.

La notizia che arriva da lontanissimo ma che riguarda tutti noi, visto che le conseguenze dell'avvelenamento del mare riverberano sull'intero pianeta - è che la petroliera iraniana «Sanchi», scontratasi lo scorso 6 gennaio nel Mar cinese orientale col mercantile «CF Crystal» di Hong Kong, è affondata. Una settimana di coma, con quell'immenso pennacchio di fumo nero in mezzo al quale si levavano lingue di fuoco alte decine di metri. E poi la fine, documentata dalle telecamere montate sui mezzi di soccorso che nulla hanno potuto fare per salvare i 32 componenti dell'equipaggio.

La petroliera trasportava 136mila tonnellate di petrolio ultra-light. Un tipo di combustibile, dicono gli esperti, che in caso di fuoriuscita può risultare ancora più pericoloso del greggio. Impossibile, vista l'inavvicinabilità della petroliera in fiamme, provare anche solo a limitare il danno, cercando di recuperare una parte del combustibile fuoruscito dalla pancia del mostro d'acciaio. Tocca tenercelo, il danno.

Di chi siano le responsabilità del disastro; a chi imputare la perdita di vite umane è materia che riguarderà i Lloyd's di Londra. Ma che si sia trattato di errore umano che altro può essere, quando due navi si scontrano in mare aperto? è fuori discussione. Ed è così, dunque, fin dall'inizio dell'anno, che si allunga il rosario di tragedie.

In mente abbiamo ancora le immagini di sette anni fa, aprile 2010, quando prese fuoco la piattaforma petrolifera «Deepwater Horizon» nelle acque del Golfo del Messico, a circa 80 km dalla Louisiana. Morirono 11 persone, mentre la marea nera - il disastro ambientale più grave della storia americana e uno dei più pesanti uppercut mai subiti dal Pianeta - distrusse un intero ecosistema naturale. Le autorità federali americane stimarono la fuoriuscita di petrolio in 1.186.000 tonnellate. Un disastro senza precedenti.

Memorabile, andando indietro nel tempo, il pauroso inquinamento del Golfo Persico nel gennaio del 1991. Non c'erano petroliere di mezzo, quella volta. Ma fu come se. Era in corso la prima Guerra del Golfo, e l'esercito iracheno aprì deliberatamente, si scoprì poi, le valvole delle condutture di petrolio in Kuwait. Un piano diabolico, e del tutto inutile, per impedire o quantomeno ostacolare lo sbarco dei marines americani. Il petrolio disperso nell'ambiente, in quell'occasione, ammontava a qualcosa come un milione e mezzo di tonnellate. Sempre da quelle parti, nel Golfo Persico, era il febbraio del 1983 quando una nave cisterna si scontrò con la piattaforma petrolifera Nowruz, a poca distanza dalle coste iraniane. Da allora, una catena infinita di episodi grandi e piccoli.

L' «Amoco Cadiz» che si incaglia di fronte alle coste bretoni, nel 1978, mollando 223 mila litri di petrolio. L' «Amoco Haven», a Genova nel 1991. E tre anni prima la «Exxon Valdes» sulle coste dell'Alaska. E furono altri 40 mila barili. Una catena di lutti per fratello mare.

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