Cina, il lavoro costa. E Samsung chiude la fabbrica

Nelle metropoli salari al livello dell'Europa dell'est, i vicini asiatici sono sempre più appetibili

Cina, il lavoro costa. E Samsung chiude la fabbrica

La notizia non è ancora ufficiale, ma Samsung ammette che ci sta pensando su: il colosso sudcoreano dell'elettronica valuta di sospendere la produzione di smartphone in uno dei suoi due stabilimenti cinesi, quello che si trova a Tianjin (nel nord del Paese). Il motivo? Innanzitutto la concorrenza, perché i marchi locali Huawei e Xiaomi negli ultimi cinque anni si sono mangiati tutto il mercato: basti pensare che nel 2013 la quota detenuta da Samsung era del 20% mentre quest'anno è scesa sotto l'1%. E poi c'è il problema legato al costo del lavoro che in Cina cresce ormai da una quindicina d'anni e rende sempre meno vantaggioso produrre nella terra del Dragone.

Pechino non è più la capitale della manodopera a basso costo. Nel 2002 la Cina si è pienamente integrata nella forza lavoro globale entrando a far parte dell'Organizzazione mondiale del Commercio, e da allora il progressivo aumento della produttività ha spinto in alto i redditi. Inoltre ormai tutte le grandi metropoli hanno stabilito uno stipendio minimo: l'ultima a farlo è stata Shangai dove gli operai dovranno essere pagati almeno 2300 yuan al mese, vale a dire 333 dollari americani; il che significa +5% rispetto a un anno fa.

Naturalmente c'è ancora un forte disequilibrio tra le aree rurali e le grandi città, dove si sta facendo largo una manodopera qualificata i cui standard si avvicinano a quelli occidentali. Parlando di salari medi Shangai è la città cinese dove si guadagna meglio, circa 1.200 dollari al mese. A Pechino e a Shenzen si viaggia intorno ai 1000, ma sono comunque livelli retributivi ormai paragonabili a quelli dei Paesi dell'Europa dell'est: non come in Polonia o della Repubblica Ceca, però sullo stesso piano della Lituania, della Lettonia o dell'Estonia e addirittura più alti della Croazia. E se in Cina tra il 2005 e il 2016 le paghe medie orarie del settore manifatturiero sono triplicate, nello stesso periodo in altre zone del mondo - come ad esempio in America Latina - la tendenza è stata alla diminuzione. Questo fa si che da qualche anno le multinazionali preferiscano delocalizzare altrove.

La concorrenza globale e in particolare quella di Paesi vicini come Taiwan, ma anche Malesia, Thailandia, Vietnam e India, insomma, è sempre più forte. Da un paio d'anni sembra essersene reso conto anche il governo cinese: da un lato il vice ministro del Lavoro Xin Changxing ha sottolineato come la Cina debba restare competitiva con i concorrenti asiatici, dall'altro le autorità stanno cercando di trovare un equilibrio tra datori di lavoro e impiegati che garantisca la stabilità sociale senza arrivare agli eccessi del capitalismo di casa nostra.

Se fino al 2016 la crescita dei salari è stata a

due cifre ora ha un po' rallentato, ma i tempi in cui produrre in Cina costava pochissimo sono ormai lontani e non torneranno più. Altri potrebbero seguire l'esempio di Samsung: gli equilibri mondiali stanno già cambiando.

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